Dal “dolce stil novo” e da “l’amor cortese”: donna bellissima, intoccabile, ammirata e amata.
Dal Duecento le donne si stavano liberando di quelle idee culturali pesanti che nell’Alto Medioevo le avevano relegate e tormentate; la linea dei loro abiti andava verso un sensibile cambiamento sotto il papato di Niccolò III (1277 – 1280) dalle vite strette agli strascichi ovvero “coda di serpente” in quanto venne subito paragonato ad un serpente come simbolo di peccato. Verso la metà del XIII secolo si assisteva dunque a un vero cambiamento nel campo della moda, a Milano stavano arrivando quei nuovi influssi di stile che facevano lamentare una vera invasione degli abiti francesi, di conseguenza si manifestò un radicale cambiamento non solo nell’abbigliamento, ma anche nella società italiana. La stessa poesia provenzale e il “dolce stil novo” suggerivano una figura femminile bellissima, angelica nella sua femminilità e delicatezza.
Nel 1264 Pietro da Barsegapè, poeta italiano, descrisse, in un italiano ancora incerto e molto dialettale, le fogge degli abiti alla francese di moda nel suo “Sermon Divin” conservato a Milano nella Biblioteca Braidense. Anche Folgore da San Gimignano, poeta italiano alla fine del XIII secolo e i primi decenni del XIV secolo, annotò tra i suoi scritti che il mondo della moda si stava allargando e che stava cambiando a causa dei costumi alla francese e alle mode provenzali e l’idea di un Medioevo buio non rispecchiava esattamente la realtà del tempo.
Verso la metà del XIV secolo le donne tentarono di indossare quegli abiti scollati di moda francese, ma nel 1342 una legge suntuaria proibiva scollature che superavano una “spanna”. L’abito era davvero importante per la donna tant’è che il futuro marito, in occasione delle nozze, donava una veste alla futura moglie che, in caso di morte della donna l’abito veniva restituito al marito in quanto non ne diventava comunque la proprietaria; l’abito da cerimonia con cui ci si sposava era spesso lo stesso con cui si veniva seppelliti.
Grazie a questa moda, la veste aderiva al busto, sottolineando con delicatezza la vita, e si allargava sui fianchi dove le donne portavano preziose cinture alle quali appendevano tasche (borsette) ricamate contenenti forcine, fermagli, libretti e ampolle di profumi le quali potevano essere direttamente appese alla tasca o alla cintura e successivamente al collo.
Lo strascico continuò ad essere colpito dalle leggi suntuarie, oltre che sinonimo di vanità, rimaneva simbolo di peccato, verso la fine del XIV secolo Bernardino da Siena, religioso italiano, in una delle sue prediche disse “O donne, ditemi: che fa la coda de la donna quando ella va per via di state? Fa polvere, e di verno s’imbratta nel fango, colui che le va dietro di state si ha lo ‘ncenso che ella fa, e chiamasi quello lo ‘ncenso del diavolo” come riportato in “Il costume e la moda nella società italiana” di R. Levi Pisetzky.
La donna cambiava spesso abito e acconciatura in base alle circostanze, aveva libertà di scelta, di fogge, di stili; sempre in una predica, Bernardino da Siena, nella prima metà del XV secolo, appurò “Le donne han più capi del Diavolo: e chi lo ha a trippa, chi a frittella, chi a grappoli, chi l’avviluppa in su, chi lo ha in giù, chi ha il capo a civetta, chi a balla, chi a merli o torri. O donne chi tra voi ha seno in capo o dove l’ha?”.
Sul finire del XIV secolo, in un libro dedicato all’educazione delle giovani donne, si leggeva di quanto lo strascico fosse un particolare poco fine definendolo “l’ano di una pecora dal deretano sporco” in quanto raccoglieva fango e sporcizia da terra, attaccata anche la profonda scollatura sostenendo che le donne morissero di freddo al ventre e al seno “che hanno più bisogno dei talloni di essere tenuti al caldo” come riportato in “Busti e reggiseni: l’epopea del seno dall’antichità ai giorni nostri” di B. Fontanel.
Scollature, fogge e strascichi andavano di pari passo con l’evoluzione delle acconciature; quando nel XIII le donne si coprivano la testa sia in casa sia fuori con veli e mantelli, nei primi del XIV secolo dai veli che coprivano il capo delle donne cominciarono ad uscire alcune ciocche di capelli e solo le serve, le contadine e le donne anziane don dovevano ostentare queste chiome sinonimo di femminilità. In Giotto, Simone Martini e poi in Beato Angelico le donne raffigurate lasciano in mostra trecce e acconciature preziose; le ardite acconciature francesi nel XV secolo in molte città italiane erano proibite e le donne creavano un’acconciatura nella parte alta della testa attraverso intrecci arrotolati con fini veli attorno al capo o su se stessi rialzando la fronte depilando le sopracciglia e sfoltendo l’attaccatura dei capelli con un miscuglio di zucchero e miele. I capelli sciolti erano un lusso che solo le fanciulle nubili potevano concedersi.
L’immagine viene da Bibliothèque nationale de France da Christine de Pizan “L’influenza di Venere”, 1406
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