La moda non era dettata solo dalla necessità di proteggersi contro il freddo o la pioggia o alla praticità per l’attività lavorativa svolta, ma era prima di tutto un segno inconfondibile della classe sociale di appartenenza. Tutti gli uomini erano tenuti ad indossare gli abiti del proprio ceto senza oltrepassare i limiti fissati. L’ordine sociale costituito doveva rimanere tale anche nelle apparenze, la trasgressione, per tutti i ranghi della società, non veniva tollerata, anzi diventava pretesto per diffidare di chi la praticava.
La struttura del vestiario maschile tra il XI e il XII secolo non subì grandi variazioni; l’uomo, nella prima metà del 1100 era solito ad indossare una semplice “chemise” di tela di lino a contatto con la pelle, mentre la tunica variava di fogge ed era il capo più importante.
Sopra la tunica, per coloro che facevano parte della nobiltà, si indossava una sopravveste, cioè una seconda tunica lunga dai polsi ampi e ornati di preziosi ricami. Anche se in tutta Europa l’abito maschile appariva semplice, era differenziato nelle zone dai dettagli decorati delle tuniche. Gli uomini comuni indossavano tuniche al ginocchio per la maggior parte delle attività, mentre gli uomini delle classi alte indossavano lunghe tuniche e lunghe sopra-tuniche con cappe o mantelli più o meno lavorati.
Gli uomini generalmente indossavano “brache” (il solo capo d’abbigliamento riservato esclusivamente all’uomo), ovvero dei calzoni di tela sottile lunghi fino alle caviglie utilizzati come indumento intimo.
Sotto la veste si indossava una lunga chemise, una specie di tunica chiusa in lato e aperta in basso davanti e dietro. La veste (o tunica) era invece un abito di lana o di seta dall’ampia scollatura dalla quale si infilava dalla testa, le maniche erano lunghe e terminavano in polsi larghi decorati e impreziositi, la gonna, ampia, pieghettata arrivava fino ai piedi; ra chiusa e, spesso rialzata, in vita da una cintura alla quale si appendevano la scarsella o altri oggetti utili.
Il mantello era invece un indumento principalmente appartenente ai nobili, che poteva essere di varie fogge. La più diffusa era a ruota, di mezza lunghezza e senza maniche. In genere era di tessuto pesante foderato di pelliccia, ricamato; aveva un apertura laterale e si chiudeva sulla spalla destra per mezzo di un fermaglio o di un legaccio. La pelliccia proveniva dalla cacciagione locale, tra i nobili, la più ricercata era quella di scoiattolo.

Mantello utilizzato da Ruggero II durante la sua incoronazione a Palermo nel 1133, Vienna, Kunsthistorisches Museum
La lana era rimasta il tessuto primario per l’abbigliamento di tutte le classi sociali, mentre il lino era utilizzato per gli indumenti intimi (chemise e brache), dato che dovevano essere confortevoli a contatto con la pelle e perché potevano essere lavati e sbiancati al sole.
La seta, anche se estremamente costosa, era prontamente disponibile per le persone ricche le quali la usavano in grande quantità; sete bizantine arrivavano a Pavia attraverso Venezia e sete dell’Andalusia raggiungevano la Francia e l’Italia settentrionale attraverso la Spagna fino ai primi anni del XII secolo. Con la rinascita economica e commerciale in Italia, vi fu un cambiamento notevole per quanto riguarda stoffe e ornamenti, in questo periodo vi fu un importante sviluppo dell’industria tessile, molti centri italiani fra cui Genova, Firenze e Lucca diventarono i maggiori produttori di seta, tessuto molto ricercato e adoperato per confezionare abiti di lusso. Le manifatture si moltiplicarono e in pochi anni l’artigianato italiano, nel settore tessile, si diffuse a livello europeo.

Frammento di lampasso lucchese di seta con aquile del XII secolo.
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, collezione Franchetti.
I cambiamenti nel campo della moda del periodo erano portati dall’esplorazione di altri Paesi, ad esempio con la riconquista normanna della Sicilia e della Prima Crociata che aprirono percorsi aggiuntivi per i tessuti orientali e influenze di stile.
Quando l’Italia settentrionale si allargava a nuovi stili, la Sicilia risentiva ancora gli influssi della moda bizantina amalgamandola alla nuova ed importante sartoria italiana della seta; nella Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta Martorana, a Palermo, si possono trovare immagini dell’incoronazione di Ruggero II (1095 – 1154), il quale indossa una veste cerimoniale bizantina in broccato di seta, su alba di lino misto seta, oro e perle.
L'”opus” anglicano abbellì molti capi dell’abbigliamento, a partire da quelli ecclesiastici, dal 1100 stole, dalmatiche di seta furono impreziosite da fili d’oro pietre e perle. I disegni ricamati sugli abiti si potevano ritrovare nei capoversi dei manoscritti monastici.
I popoli anglosassoni erano famosi per i loro lavori di ricamo che venivano molto apprezzati anche dai romani. È da notare che all’epoca, le uniche corporazioni a persistere a Roma furono proprio quella dei ricamatori e quella degli orafi, le quali si stavano allargano fino a Ravenna. A Londra, nel 1119, i tessitori pagarono la somma di 16 sterline affinché la loro corporazione venisse riconosciuta.
Visto l’ampio commercio di questi nuovi tessuti fini e lavorati, vennero introdotte leggi per controllare la fabbricazione e la vendita dei tessuti, venne introdotta una riga metallica lunga circa 2 metri per garantire che le misure delle stoffe vendute fossero uguali in qualsiasi paese, furono nominati dei controlli per garantire i consumatori che questi ordini venissero rigorosamente rispettati, in caso di trasgressione, questi agenti avevano i potere di confiscare la merce al mercante.
Le calzature erano molto diverse tra loro, ma in si dividevano in due categorie: scarpe, stivaletti. Le scarpe erano in stoffa, molto semplici e assomigliavano alla calza perché prive di suola; gli stivaletti, principalmente usati nei mesi invernali erano appunto di cuoio spesso, chiuse alla caviglia con un gran numero di stringhe.
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