Moda femminile nella prima metà del XII secolo

Il XII secolo rappresentò un periodo di innovazione per l’eleganza e per il design creativo, questo venne dimostrato dalle vesti indossate, le quali davano un’immagine della figura femminile allungata e assottigliata in parallelo con l’architettura che si stava diffondendo in questo secolo.
Dopo il 1100, ad arricchire la linea semplice e spoglia delle tuniche femminili, arrivarono lunghe maniche, una moda che scandalizzò le autorità cittadine dato che questo nuovo taglio implicava uno spreco inutile di stoffa. Secondo alcuni storici con il tessuto utilizzato per la confezione di queste maniche, si sarebbe potuto realizzare un altro abito, tant’è che le maniche erano talmente lunghe da obbligare le donne ad annodarle sul fondo per non farle strisciare per terra onde evitare di sporcarle ed inciamparvi.

Immagine tratta da “Fashion & Clothing in the 12th Century”

Questo tipo di maniche fu così diffuso che lo si vede indossare anche da una donna impegnata ad accudire le galline, raffigurata in un mosaico romano presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma e, i religiosi, criticarono questa esibizione ostentata di lusso; questi, oltre agli abiti, continuarono a criticare e a condannare le donne interessate alla cura del loro aspetto in quanto erano convinti che questo alterasse le sembianze che Dio aveva dato a loro.

Interno Santa Maria Maggiore

Interno Santa Maria Maggiore

Non solo fu maggiore l’attenzione rivolta al vestito, ma anche ai cosmetici che furono importati dalle Indie. I cosmetici erano un modo per nascondere il colorito pallido del volto e, come per gli abiti, il clero deplorava le donne che usavano imbellettarsi il volto sostenendo che era un inganno del diavolo e pertanto andava severamente condannato.

L’attenzione per gli abiti femminili portò la veste a divenire l’indumento più importante per le donne. Al seguito di un costante sviluppo delle vesti, la “roba” (guardaroba) comprendeva una tunica e una sopra-tunica il cui corpetto era tagliato sui due lati, da sotto l’ascella al fianco e allacciato da nastri che potevano essere regolati in modo da far aderire la veste al corpo.

La tunica indossata sotto o “sottoveste” era diffusa con il nome di “chemise”, “chainse”, conosciuta in Italia anche come “interula” o “sotano” era una specie di sottoveste lunga fino ai piedi, confezionata solitamente in lino leggero in quanto era a contatto con la pelle.
Il tessuto variava a seconda delle possibilità economiche della cliente; la chemise era priva di bottoni infatti era abbastanza larga per poter agevolare la vestibilitá e non vi era la presenza di tasche, anche per le donne nobili, questa, non presentava particolari ornamenti o ricami in quanto era portata come indumento intimo.

La veste superiore era lunga fino ai piedi, dal corpetto stretto si apriva un’ampia gonna, svasata e lunga che ricopriva totalmente i piedi, il tagli laterali, pur essendo allacciati con nastri, lasciavano intravedere la sottoveste, infatti si usava chiamare queste fessure “le finestre d’inferno” dato che erano audaci aperture che rivelavano il corpo velato dalla tunica sottostante.

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Immagine tratta da “The Evolution of Fashion”, Florence Mary Gardiner

Le vesti delle donne, appartenenti alle famiglie benestanti, erano confezionate in “zendàli”, si trattava di stoffe di una seta molto preziosa lavorata e commerciata in Italia, raramente in broccati o velluti impreziositi da fili d’argento e d’oro in quanto erano importati dall’Oriente. Sulle vesti, in particolar modo sull’orlo del collo, apparivano applicazioni e decorazioni con perle e pietre preziose; queste, catene e fermagli d’oro e d’argento e numerosi anelli erano indossati ampiamente.
Il dettaglio più importante stava nelle maniche, aderenti a braccio e poi allargate in enormi polsini, simili ad uno strascico.

Immagine tratta da "A History of Fashion", J. Anderson Black, Madge Garland, Frances Kennett, Orbis, 1980

Immagine tratta da “A History of Fashion”, J. Anderson Black, Madge Garland, Frances Kennett, Orbis, 1980

Nella Raccolta di sculture del Castello Sforzesco si trova un bassorilievo in marmo datato XI – XII secolo, che un tempo sorgeva sulla Porta Romana di Milano; qui vi è ritratta una giovane con indosso una tunica aderente, a disegnare il busto, ed è svasata ai fianchi con le maniche lisce che si allargano ad imbuto.

Civiche Raccolte d'Arte, Milano

Civiche Raccolte d’Arte, Milano

Questa veste si trova in molte miniature, affreschi e mosaici in Italia, in Francia, in Inghilterra e in Germania, indosso a donne aristocratiche e borghesi, appartenenti a ceti alti e medi, sintomo di un’Europa unificata nel gusto e nello stile.
In Inghilterra come in Italia e in Germani l’abito alla moda, in inglese “kirtle”, era largo al polso, mentre in Francia verso la metà del XII secolo si stava diffondendo una nuova veste con le maniche “a tromba” dal gomito.

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Le donne del popolo e delle campagne, appartenenti a classi sociali basse, mantenevano il modello base dell’abito nobiliare, ma non potevano assolutamente permettersi i tessuti pregiati e quindi erano solite a confezionare i loro abiti con tessuti grossolani e semplici come lino o lana, le donne più povere si ritrovavano a possedere un solo abito di lana utile a tutte le stagioni dell’anno e spesso era anche tramandato di madre in figlia.

Gli abiti femminili, in tutti i ranghi, erano fermati in vita da cordoncini annodati o cinture di stoffe ricamate e ornate di laminette d’oro o dipinte con smalti e, appoggiati sui fianchi, scendevano lungo la parte centrale dell’ampia gonna.

Le fanciulle in età puberale erano le sole a cui era permesso mettere in mostra i capelli, segno di verginità e della bellezza femminile, le giovani tenevano le chiome sciolte sulle spalle con orgoglio o li portavano legati in un’unica treccia, lasciata scendere sulla schiena o potevano scegliere di farsi scendere due trecce al lato del viso; queste trecce potevano essere estese con capelli acquistati dai morti, un’abitudine criticata molto dai moralisti dell’epoca. Sempre nel bassorilievo nella Raccolta di sculture del Castello Sforzesco, si nota una giovane con una lunga treccia gallica legata dietro la nuca che scende sulla schiena oltre i fianchi. È presente anche una donna popolana la quale aveva il volto racchiuso in un velo che le passava sotto il mento, questo copricapo era conosciuto come “soggolo” (sotto gola): una pezzuola di tela fermata al sommo del capo che scendeva a coprire interamente orecchie e mento; oppure si usava una benda bianca di tela fissata al capo su cui si poggiava un ampio velo. Le donne sposate infatti, in linea con l’abitudine cristiana, indossavano veli attorno ai loro capelli raccolti in trecce, che spesso si dividevano al centro della testa.

Giovane con lunga treccia, Castello Sforzesco, Milano

Giovane con lunga treccia, Castello Sforzesco, Milano

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