Moda maschile nella seconda metà del XIV secolo

Con l’arrivo della metà del XIV secolo, il cambiamento più appariscente nell’abbigliamento maschile fu l’accorciarsi dell’abito. Questo nuovo modo di vestire, si manifestava con l’aderenza al corpo, rivelando quelle forme fisiche che gli stili precedenti avevano nascosto con tessuti voluminosi.
Scrittori italiani incolpavano di questa nuova moda gli influssi francesi, ma gli studiosi del tempo rivelarono che, a seguito della fine della Peste Nera, il cui termine era datato proprio alla metà del XIV secolo, le persone erano ansiose di mostrare i loro corpi sani anche se, nella storia della moda, questo “fenomeno” è visto più come una semplice progressione dello stile facendo prevalere bellezza e perfezione.

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Particolare Peste Nera miniatura 1349 – 1353. L’uomo a destra indossa una cottardita e l’uomo dietro un capperone

Gli abiti degli appestati venivano bruciati, in mano si nota un capperone

Gli abiti degli appestati venivano bruciati, in mano si nota un capperone

Galvano Fiamma, biografo della Famiglia Visconti, nel 1340, scriveva di giovani milanesi che indossavano vestiti stretti come gli spagnoli, che portavano i capelli corti come i francesi, che camminavano come i tedeschi e che si facevano crescere la barba ad imitazione dei barbari imprecando come Tartari; di Fiamma, tra il “corpus” delle “Chronica”, si trovava il “De Moribus Antiquorum” in cui l’autore ricordava con malinconia i comodi abiti del XII e del XIII secolo.
Giovanni Villanni nella sua “Cronica” del 1342 descriveva l’entrata a Firenze di Gualtieri VI di Brienne facendo una digressione sugli abiti così stretti dei giovani che, a parer suo, non potevano indossare senza un aiuto, i quali portavano cinture con fibbie vistose e importanti e descriveva cappucci e “liripipes” che spesso toccavano il suolo.
Non solo in Italia veniva avvertita questa nuova moda francese, anche l’Inghilterra ne risentì; lo scrittore inglese John of Reading, nel 1344 scrisse di un abbigliamento maschile troppo corto e stretto, tutto tagliato e abbottonato.
Questo capo era conosciuto con il nome francese di “cotehardie” arrivato in Italia con il nome di “cottardita”, un indumento attillato fino alla vita terminante in una balza aperta che arrivava appena sotto i fianchi.
Queste vesti aderenti maschili, erano totalmente tagliate frontalmente chiuse con piccoli bottoni ravvicinati; le opere pittoriche generalmente non includevano questi piccoli gioielli, ma si trovavano spesso scritti nei testi di autori del periodo come i sopra citati.
Le nuove vesti, implicarono un maggior dispendio economico in quanto erano confezionate su misura e il loro abbellimento con bottoni in metallo prezioso o inserti ricamanti, o tessuti pregiati su richiesta le faceva aumentare economicamente.
Si trovavano cottardite dal collo rotondo a tinta unite, ma comuni anche quelle di diversi colori da sinistra a destra o dall’alto verso il basso, si parlava appunto di colori verticali, meno comuni fino al 1360/80 visto il costo elevato delle tinture naturali. Nelle miniature fiamminghe del 1345 di Jean de Grise si trovano abiti molto colorati e decorati e nel suo atelier collocato tra Bruges e Tournai, si trovavano vesti con caratteristiche stilistiche proprie di questo periodo.

Cottardite

Cottardite

Andrea Bonaiuti, grande pittore della seconda metà del XIV secolo, ne “La via della Salvezza” databile tra il 1365/68, rappresentava l’evoluzione dello stile, in particolare, nella parte inferiore del dipinto, nel Cappellone degli Spagnoli a Firenze, due uomini indossavano cottardite e cinture importanti sui fianchi, appoggiate alle anche.

La via sella salvezza

La via della salvezza

La cottardita non era solo un indumento per le classi più abbienti, l’esigenza dei ceti medi di imitare quelli alti era sempre più evidente tant’è che nell’affresco nella cattedrale di Padova, “Nozze di Cana” di Giusto de’ Menabuoi del 1376/78, nella parte destra dell’affresco vi erano due uomini che servivano a tavola vestiti con cottardite con sottili cinture che cadevano sui fianchi.

Particolare, Nozze di Cana

Particolare, Nozze di Cana

Villani annotava che inizialmente i bottoni erano a carattere decorativo, ma con l’arrivo delle nuove vesti, il loro uso era assolutamente necessario, di metallo, oro, argento, ottone o di ambra rappresentavano lusso ed eleganza e spesso il loro prezzo superava quello dell’abito; di pezza, legno, noccioli di frutta per i ceti meno ricchi, esposti in lunghe file.
Abbottonata dal collo alla balza, la cottardita, aveva maniche strette e lunghe ed un colletto basso a forma di “barchetta”, il taglio serviva a far risaltare la vita stretta e le spalle larghe; la si indossava direttamente sopra alla camicia di tela di lino. Il damascato fiorentino aveva ormai conquistato il gusto tra le classi sociali medio-alte di tutt’Italia e i capi, di qualsiasi genere, erano prodotti con questo tessuto prezioso e pregiato, insieme al lino e all’innovativo cotone.

Immagine di Jeanne de Huguenin

Immagine di Jeanne de Huguenin

La nuova lunghezza delle vesti impose l’utilizzo di calza-brache confezionate su misura rendendole dunque costosissime. Le gambe potevano essere coperte oltre che con le calza-brache anche da alte calze sostenute con una sorta di “giarrettiera” sovrapponendole alle brache corte.

Cottardita e calza-brache ripetevano i colori dello stemma araldico di chi le indossava infatti era comune indossare vesti colorate oppure talvolta anche rigate; spesso il colore nella zona sinistra della cottardita ripeteva il colore della calza di destra e, quello sulla destra, ripeteva quello della calza sinistra dando l’impressione di una scacchiera. In una commedia inglese del tempo, un personaggio si rivolse simpaticamente al pubblico con una battuta, chiedendo che motivo ci fosse per cui le sue gambe fossero così diverse, ma rispondendosi da solo, esordì dicendo che una gamba gli era costata venti sterline in più dell’altra. Spesso infatti, gambe di colore diverso, imponevano stoffe diverse tra una calza e l’altra.
Tra il 1340 e il 1360 in Italia le maniche della cottardita, abbottonate dal gomito al polso, erano guarnite con nastri che cadevano liberamente dal gomito lungo i fianchi e, generalmente i bottoni con la quale veniva chiusa davanti, erano di stoffa; negli ultimi decenni del secolo, le maniche, sempre abbottonate dal gomito al polso, non presentavano più i nastri, e si presentavano come maniche semplici e strette e i bottoni di pezza vennero man mano sostituiti da quelli di metallo.

Cottardita con nastri

Cottardita con nastri

Gli uomini occupati nei mestieri manuali, erano soliti ad indossare un grembiule durante il lavoro.

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Lavoratori, miniatura “Romanzo di Alessandro” XIV secolo

Sopra alla cottardita, nelle stagioni più fredde, si indossava una sorta di farsetto, anch’esso abbottonato dal collo fino all’orlo, lungo fino alla vita, e stretto; questo indumento poteva essere confezionato senza maniche e la spalla era leggermente “a becco” cioè non terminava bruscamente con una cucitura al temine della spalla, oppure con le maniche, dalla spalla al gomito abbastanza larghe e poi strette fino al polso, chiuso da una serie di bottoni.
Un’importante fonte che riguarda l’uso del farsetto deriva dai frammenti degli abiti trovati nel sarcofago in granito di Pandolfo III Malatesta, Signore di Fano (comune marchigiano), Brescia e Bergamo durante i restauri nei primi anni ’90. Pandolfo III, vissuto nella seconda metà del XIV secolo, aveva con sè un farsetto in velluto cremisi, utilizzato nell’Italia dell’epoca.
Le spalle e le maniche del farsetto erano gonfie, suggerendo un’impressione di notevole imponenza. A livello del petto, il farsetto era aperto e mostrava una fila di bottoni rivestiti di tessuto corrispondenti ad una serie di occhielli con orlo rinforzato a filo. Anche sui polsini c’erano bottoni ed occhielli simili a quelli presenti sul petto.

imageUna fonte importante che porta il farsetto a Roma, si trova negli scritti di Petrarca in cui si trova fianco a fianco alle porte di Roma nel 1347, quando l’esercito dei nobili fu vinto da quello popolare, con Cola di Renzo (1313-1354) il quale indossava un importante farsetto damascato.

Immagine tratta da Apocalypse in Rome: Cola di Renzo and the Politics of the New Age

Immagine tratta da Apocalypse in Rome: Cola di Renzo and the Politics of the New Age

In Italia, sui Tacuina Sanitatis (ÖNB Codex Vindobonensis, series nova 2644, fol. 96), c. anno 1370 d.C. si trova un’immagine a testimonianza dell’uso del farsetto corto che lasciava in mostra calza-brache allacciate direttamente a questo indumento.

Con il nome di “Tacuina sanitatis” vengono classificati tutti quei manuali di scienza medica scritti e miniati dalla seconda metà del XIV secolo al 1450 circa; il loro contenuto faceva riferimento principalmente al testo originale del medico arabo Ibn Butlan, in uso a Baghdad intorno alla metà del Mille. La traduzione in lingua latina del trattato avvenne attorno al XIII secolo alla corte di re Manfredi di Sicilia e, da allora, i Tacuina sanitatis ebbero una rapida e vasta diffusione, con la modifica rispetto alle pratiche mediche e igieniche occidentali.

Tacuinum Sanitatis

Tacuinum Sanitatis

Gli uomini erano soliti ad indossare il capperone sopra alla cottardita, cioè una corta mantellina che generalmente riprendeva i colori della veste, si trattava di un cappuccio dalla lunga punta riconosciuta con il nome di “liripipe” la quale, spesso, se troppo lunga, veniva annodata, o girata attorno alla testa in modo da rendere il capperone ancora più utile al freddo. Quando il capperone veniva arrotolato al cappuccio e indossato in testa a modi cappello, la parte della mantellina, scendeva da un lato e il liripipe veniva fatto passare sotto al mento, appoggiandolo su una spalla. Poteva presentare un orlo semplice e lineare oppure poteva terminare in frange “a quadri”, “a gigli” o in apparenza “a figlie” che ricadevano sulla cottardita come completamento.

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Mantelli maschili vennero sostituiti verso il 1380 da nuovi indumenti conosciuti con il termine di “houppelande” da cui derivati poi “pellarda”, “pellanda” o “oppelanda”. Si trattava di un mantello con maniche/cappotto confezionato di stoffe pesanti e veniva indossato sopra la corta cottardita al posto del farsetto.
Fino al 1380 era portato lungo sino alla caviglia confezionato con ricchi e costosi tessuti, di foggia scampanata, mentre alla fine del XIV venne portato alla stessa lunghezza della cottardita o al ginocchio, fermato in vita da una cintura.
Nacque principalmente con la funzione di riparare dal freddo, infatti generalmente era foderato o orlato in pelliccia oppure poteva essere foderato in lana o confezionato totalmente in lana, aveva il collo alto abbottonato fino al mento.
Nel 1380 le maniche dello houppelande si presentavano ampie dal gomito e strette al polso, le cosiddette maniche “a sacco” o “a becco di pellicano”. Con il 1400, le maniche vennero modellate a grande imbuto le cui estremità potevano essere frangiate tanto da toccare terra, che andavano a contrastare con la lunghezza della veste; all’epoca maniche così particolari furono esposte al giudizio critico dei moralisti.
Questo indumento poteva rimanere aperto o chiuso sovrapponendolo con una cintura in vita o abbottonato dal collo all’inguine.

Pellanda alla caviglia a maniche ad "imbuto" o "tromba" sfrangiate

Pellanda alla caviglia a maniche ad “imbuto” o “tromba” anche sfrangiate

Pellanda a manica "a becco di pellicano"

Pellanda al ginocchio a manica “a becco di pellicano”

I contadini soprattutto nella stagione più calda, erano soliti ad andare a piedi nudi, ma con il freddo e il lavoro nei campi indossavano regolarmente semplici scarpe in pelle.
Tra gli stili più comuni delle calzature vi era uno stivaletto in pelle alto allacciato con stringhe dal collo del piede fino all’orlo davanti. Con la fine del secolo, questi stivaletti, vennero chiusi da un unico cinturino con una fibbia oppure si indossavano semplici pezze di stoffa che venivano avvolte intorno al piede, protette da zoccoli di legno che venivano utilizzati per far sì che queste stoffe non si sporcassero con il fango e per evitare che si consumassero.
Gli zoccoli di legno erano anche utilizzati per proteggere le calzature in pelle che non presentavano suole nei mesi invernali.
L’uso delle calzature con la suola in legno si stava ristringendo, in quanto si diffondevano scarpe con suole di cuoio o di un multistrato di pelle.
Alla metà del 1300 in Italia, in Spagna e in Germania gran parte della popolazione nobile e comune portava scarpe di pelle spesso di capra in quanto facile da cucire; le scarpe in cuoio erano poco diffuse a causa degli alti costi della materia.
Nelle altre zone dell’Europa, si passava dalle scarpe con grosse suole di cuoio degli Slavi, alle scarpe chiuse alla caviglia di pelle dei popoli nordici, a cui spesso venivano legate assicelle appuntite e incurvate per rendere più agevoli le marce nella neve.
In questo periodo solo in Inghilterra e Francia si affermarono le calzature a “la poulaine”, cioè una scarpe dalla punta lunghissima, portate in un primo tempo soltanto dai nobili, poi rapidamente diffuse e adoperate sia come calzatura di guerra sia nella vita quotidiana in città. La lunghezza delle punte si accrebbe sempre più, tanto che dopo la metà del XIV secolo Filippo IV dovette dare a loro dei limiti, distinguendo tre misure: per la nobiltà, per la borghesia e per il popolo; una simile disposizione fissò anche Edoardo III in Inghilterra. La punta era tanto più lunga quanto più nobile era la persona che le indossava.
Questa moda tramontò alla fine del XV secolo quando Carlo VIII di Valois Re di Francia, conosciuto per avere sei dita, doveva portare scarpe dalla punta tronca.
In Italia, questo stile non prese piede e la punta delle scarpe italiane, mantenne una certa lunghezza arrotondata.

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London Museum

London Museum

Yorkshire Museum

Yorkshire Museum

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