Moda maschile nella prima metà del XV secolo

Con l’avvenire del XV secolo, sempre più persone iniziarono ad acquisire quella ricchezza che gli permise di indossare abiti sartoriali e pregiati mantenendo gli stili della moda; in Italia, partendo da Firenze, un gran numero di ricchi mercanti, artigiani e nobili manifestavano una certa affermazione in campo stilistico con la volontà di emergere nella società per eleganza e stile. I “nuovi” nobili facevano parte della classe grazie a titoli ereditati o acquisiti di marchese, conte o duca e, desiderosi di stabilire la loro legittimità, mostravano la loro ricchezza anche attraverso l’abbigliamento. Il vestito dunque diventò uno strumento dell’apparire; anche il colore divenne stile ed identità.
Il risultato era che chiunque doveva indossare abiti che mostrassero il proprio benessere tant’è che la famiglia di Filippo Strozzi (Firenze, 1428 – 1491), proprietaria di un importante impresa bancaria, venne accusata dalla stessa nobiltà per la sua moderazione infatti, i familiari di Strozzi, erano soliti a riciclare i loro abiti rinforzandoli o ritingendoli talvolta passandoli di generazione per morigeratezza.
Questa “corsa” allo sfarzo venne tenuta sotto controllo dai Comuni che tentarono di reprimerla attraverso l’emanazione di apposite leggi restrittive attinenti all’abbigliamento, dette leggi suntuarie. L’obiettivo di queste leggi era quello di limitare il lusso delle famiglie e la fuoriuscita di denaro dalle casse comunali. Nel 1401 a Bologna venne stabilito che chiunque avesse voluto indossare vesti per esibire le proprie ricchezze, avrebbe dovuto pagare come stabilito dallo statuto suntuario. In Italia nacquero così le vesti “bollate” cioè una vera e propria tassa sulla vanità. Gli agenti, incaricati di controllare lo sfarzo, contavano bottoni, misuravano maniche ed abiti, sequestravano o multavano fibbie d’oro, spille eccessive, placche d’oro, corone, catenelle smaltate, abiti in velluto o con profilature d’oro e esageratamente decorate. Gli uomini, nonostante le leggi, continuarono ad indossare cinture bellissime, lunghe e preziose che raggiungevano i due metri di lunghezza e formate da placche d’oro legate insieme.

Uomini in pellanda con cintura preziosa in vita, Bibliothèque Nationale de France, 1400 - 1410

Uomini in pellanda con cintura preziosa in vita, Bibliothèque Nationale de France, Parigi, 1400 – 1410

Bernardino da Siena (Massa Marittima, 1380 – L’Aquila, 1444), religioso italiano appartenente all’Ordine dei Frati Minori e predicatore contro lusso e sfarzo, annotò tra i suoi scritti un’eccessività maschile per la cura per il proprio aspetto; gli uomini, che si arricciavano i capelli, si profumavano, si depilavano e seguivano con attenzione la moda, rischiavano, a parere del religioso, di dare un’immagine apparentemente ambigua.

Uomini in giornea e capelli arricciati, "Storie di Teodolinda", Gregorio Zavattaro, Monza, 1444

Uomini in giornea con capelli arricciati, “Storie di Teodolinda”, Fratelli Zavattari, Monza, 1441-46

Nella moda maschile dell’inizio del Quattrocento si notava una differenza data dall’età, i giovani mettevano in bella vista le brache con abiti corti e le calze divise, unite solamente al punto vita, e le brache corte scandalizzavano non solo i predicatori moralisti, ma anche la gente comune perché movimenti spontanei o involontari, lasciavano intravedere un pezzo di gamba e parte delle “mutande”, chiamate brache o, con l’accorciarsi, “femoralia” termine che indica appunto che la lunghezza non fosse oltre al femore.

Bibliothèque Nationale de France, Parigi

Bibliothèque Nationale de France, Parigi

Gli anziani magistrati, dottori, studiosi e dogi, indossavano una tunica talare giunta a quest’epoca attraverso evoluzioni della tunica classica romana, lunga e con maniche piuttosto strette e lunghe. Solitamente era indossata con un copricapo, ad esempio il “tocco” tipico e popolare tra XIII-XIV secolo, il quale rimase in uso per queste figure.
La lunghezza della tunica comune, conosciuta con il nome di “gonnella” variava a seconda delle persone che la indossavano da sopra al ginocchio al inguine.

Uomini in gonnella, Tacuinum Sanitatis

Uomini in gonnella, Tacuinum Sanitatis

Nelle opere di Paolo Uccello (Firenze 1397 – 1475) e in quelle di Masaccio (Castel San Giovanni in Altura 1401 – Roma 1428) vengono rappresentati perfettamente i due stili; ad esempio nella “Battaglia di San Romano” di Uccello del 1436 si nota perfettamente l’intera gamba dei due uomini nel particolare “Niccolò da Tolentino alla testa dell’esercito fiorentino”, mentre nella scena “Le milizie fiorentine sbaragliano le truppe senesi” l’uomo indossa una lunga tunica talare al di sotto del mantello. Nella “Crocifissione di San Pietro” di Masaccio del 1428 sono in evidenza le femoralia (brache) indossate dall’uomo a gambe scoperte e, dello stesso artista, nell’intera opera delle Storie di San Pietro del 1425, nella Cappella Brancacci a Firenze, si distinguono perfettamente i diversi stili di abito.

"Niccolò da Tolentino alla testa dell'esercito fiorentino", Paolo Uccello, 1436, London National Gallery

“Niccolò da Tolentino alla testa dell’esercito fiorentino”, Paolo Uccello, 1436, London National Gallery

 

"Le milizie fiorentine sbaragliano le truppe senesi", Paolo Uccello, 1436, Galleria degli Uffizi, Firenze

“Le milizie fiorentine sbaragliano le truppe senesi”, Paolo Uccello, 1436, Galleria degli Uffizi, Firenze

 

"Crocifissione di San Pitro", Masaccio, 1428, Berlino

“Crocifissione di San Pietro”, Masaccio, 1428, Berlino

Le persone anziane, in genere più riservate e conservatrici, non erano solite a seguire le nuove mode, preferivano indossare lunghe tuniche, le comode pellande e i pesanti lucchi.
La pellanda (dal francese houppelande), molto diffusa alla fine del XIV e la prima metà del XV secolo, era un’ampia veste, simile ad un cappotto, da portare sopra alle altre vesti, aperta davanti e spesso anche ai lati dando una parvenza di mantello sulle braccia (come quella nera a decorazioni dorate nei “Fratelli Limbourg”); lunga fino alle caviglie con maniche larghe, lunghissime, spesso frangiate era in genere ornata di ricami e foderata di pelliccia o stoffa. Nell’inventario della corte di Ferrara, al tempo di Niccolò III (1393 – 1442), figuravano trentasei pellande di ogni tessuto pregiato e colore. Questa veste aveva sempre un suo cappuccio analogo, ma non fisso, da portare in caso di pioggia.

Fratelli Limbourg, 1412, Parigi

Fratelli Limbourg, 1412, Parigi

Il “lucco”, tipicamente fiorentino, o comunemente “cioppa”, era una sorta di soprabito ricco di pieghe e di ampio volume che cadeva fino a terra, era di panno, di colore nero, rosso o paonazzo ed era chiuso al collo con dei ganci o semplicemente annodato con nastri; era confezionato con due tagli laterali per far passare le braccia o a maniche tronche e ampie. Il lucco poteva essere foderato di taffetà o di seta in estate o in pelliccia o in velluto in inverno.

Uomini in tunica talare e lucco o mantello, "La Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra", Masaccio - Lippi, 1425 - 1483, Firenze.

Uomini in tunica talare e lucco o mantello, “La Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra”, Masaccio – Lippi, 1425 – 1483, Firenze.

Tutti gli altri uomini, compiuta la maggiore età, seguivano la moda diversamente dai saggi anziani; la pellanda rimaneva al ginocchio, nominata “pellanda bastarda” cioè a mezza gamba nata principalmente per cavalcare e aveva ampie maniche, affrappate (con frange) o non, che spesso arrivavano a terra e maniche così passarono sotto al giudizio dei moralisti dell’epoca. Pellande bastarde a manica ampia e lunga sono indossate dai due uomini di Masolino da Pinacale (San Giovanni Valdarno 1383 – Firenze 1440) nell’opera alla Cappella Brancacci a Firenze. La pellanda veniva realizzata con pesanti stoffe pregiate, era aperta davanti, chiusa in vita da una cintura o con l’utilizzo di bottoni ravvicinati e poteva essere foderata di pellicce di vaio, di marmora o di ermellino; nelle classi medie era di lana, foderata di pelle di scoiattolo o d’agnello. Dal termine pellanda si risale all’origine di questo indumento; nato dalle classi operaie era confezionato da pelle (da cui pellanda) per proteggersi dal freddo e dalle intemperie durante il lavoro.

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Masolino da Pinacale, 1425, Santa Maria del Carmine, Firenze

 

"The Book of the Queen", Christine de Pizan, 1410, Londra

Da “The Book of the Queen”, Christine de Pizan, 1410, Londra

 

"Nascita di San Nicola, la Vocazione, La dote a tre fanciulle povere", Beato Angelico 1437, Città del Vaticano

“Nascita di San Nicola, la Vocazione, La dote a tre fanciulle povere”, Beato Angelico 1437, Città del Vaticano

Il lucco o cioppa, che poteva essere indossato solo al compimento dei diciotto anni, era corto a metà gamba, a volte poteva essere accorciato ulteriormente rimanendo ricco di pieghe e di ampio volume. Era indossato al posto del mantello o della pellanda.

Anche tra le persone più povere si notava la differenza di lunghezza della tunica; queste erano solite ad indossare una camicia corta dal collo tondo o a V alla quale aggiungevano una semplice gonnella (tunica) che poteva arrivare al di sopra del ginocchio o ai fianchi, lasciando in vista camicia e femoralia come l’uomo in gonnella verde a destra nell’opera dei fratelli Zavattari, pittori lombardi, “Storie della Regina Teodolinda” realizzata tra il 1441 e il 1446 presso il Duomo di Monza nella Cappella di Teodolinda dei Longobardi; caratteristiche distinguibili anche nella miniatura esposta alla British Library datata al 1425, gli uomini indossano tipi diversi di tuniche con calze dello stesso colore e grembiuli durante il lavoro.

"Storie della Regina Teodolinda", Duomo di Monza

“Storie della Regina Teodolinda”, Duomo di Monza

 

"Artigiani", Londra

“Artigiani”, Londra

Fino alla seconda metà del XIV secolo gli uomini indossavano una camicia, una tunica, “gonnella” e una sopravveste conosciuta con il nome di “guarnacca”, “surcotto” termine bolognese, dal francese “surcot”, caratterizzata da uno spacco laterale, smanicata, ma vi era una variante confezionata anche con maniche e, quando queste era realmente larghe e ricche, veniva denominata “guarnazzone”. La guarnacca veniva confezionata con tessuti preziosi e foderata di seta in estate o di pelliccia in inverno.
Dalla metà del Trececento e nei primi del Quattrocento, tunica (cotta) e guarnacca (surcot) vennero sostituite dalla “cottardita” dal francese “cote-hardie” cioè una veste direttamente indossata sopra alla camicia, stretta, tagliata davanti e chiusa con una serie di bottoni.
La differenza sostanziale tra la cottardita del XIV e quella dei primi del XV secolo fu la lunghezza; all’inizio arrivava appena sopra al ginocchio ed era abbottonata dal collo al inguine, così molto aderente al corpo, lasciando la parte inferiore sbottonata formando una sorta di gonnella, negli ultimi decenni del Trecento si iniziò ad accorciarla tant’è che un legge suntuaria fiorentina del 1373 concedette di indossarla più corta che a mezza coscia pagando una tassa di dieci fiorini d’oro. Con l’inizio del Quattrocento questa si accorciò abbondantemente: arrivava appena sotto ai fianchi.

"Altarpiece of Saint Vincent"  1438 - 1440, Museu Nacional d'Art de Catalunya, Barcellona

“Altarpiece of Saint Vincent” 1438 – 1440, Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcellona

La cottardita veniva indossata in genere con il capperone (chaperon) come nel XIV secolo il quale, proprio in questo periodo, assunse notevoli cambiamenti. Arrotolando la parte frontale, si formava una specie di “rotolo” che veniva fissato in testa, la parte che poggiava sul petto, così, cadeva da un lato della testa e il “liripipe” (la cornetta o becco lungo del capperone) scendeva dall’altra parte passando sotto al mento e poggiava alla spalla come si nota nel “Ritratto di giovane” di Botticelli della metà del XV secolo; oppure si lasciava scendere liberamente il liripipe lungo la spalla come mostra “Ritratto di un uomo” di Jan Van Eyck del 1432. Poteva essere anche arrotolato sulla testa a modi turbante come si vede nel presunto autoritratto di Jan Van Eyck “L’uomo in turbante” del 1433 alla National Gallery di Londra, sempre di questo artista si trova anche “Ritratto di uomo con copricapo azzurro” del 1430 in cui il capperone presenta decorazioni lungo l’orlo e il liripipe, infatti questo cappuccio poteva terminare con varie frangiature.

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Forme e modalità d'uso del capperone

Forme e modalità d’uso del capperone

Sopra alla cottardita o alla gonnella si indossava un farsetto o doublet, la forma originale del farsetto derivava dal “pourpoint”, conosciuto con il nome di “gambison” cioè una camicia imbottita, originariamente indossata dai cavalieri al di sotto dell’armatura. Il termine doublet derivava dalla tecnica di lavorazione dell’abito, composto da più strati di tessuti sovrapposti: lo strato più interno era normalmente in lino o cotone, mentre gli stati esterni in seta semplice o damascata pesante o di panno di lana oppure anche di cotone damascato. Dal pourpoint nasceva il “farsetto d’arme” chiuso frontalmente da lacci e presenti anche sull’orlo, sulle maniche dritte presentava altrettante stringhe che, sull’originale, erano utilizzati per fermare l’armatura all’abito. I lacci più utilizzati era in pelle, ma diffusi anche in lana, i fili di lana erano accuratamente intrecciati tra di loro con l’utilizzo di uno strumento di origine anglosassone simile ad una forcella, conosciuto con il termine di “lucet”, in modo da creare legacci resistenti e duraturi. Di questa “giacca” vengono riportate molte miniature nel “The gladiatoria fechtbuch” del Quattrocento. Nell’illustrazione del “Decameron” del 1430, l’uomo indossa un farsetto d’arme chiuso da lacci, provvisto di stringhe anche sull’orlo tra cui si nota la camicia che fuoriesce dal farsetto e lo spazio tra l’allacciatura delle brache e le calze.

The gladiatoria fechtbuch

The gladiatoria fechtbuch

 

Da "Decameron", Giovanni Boccaccio, 1353

Da “Decameron”, Giovanni Boccaccio, 1353

Il farsetto, anch’esso corto e leggermente imbottito (da “farse” cioè imbottitura), poteva chiudersi con una serie di bottoni sulla parte anteriore, dal collo fino all’orlo oppure con lacci. Il doublet fu uno dei principali capi d’abbigliamento degli uomini del Quattrocento. Quando nel XIV secolo il farsetto poteva essere confezionato con o senza maniche, nella prima metà del XV secolo era realizzato con diversi tipi di maniche chiuse da bottoni dal gomito al polso o da lacci. Generalmente era confezionato con maniche a “prosciutto” cioè abbondanti dalla spalla al gomito e poi ristrette fino al polso con bottoni fissati sulla parte esterna del braccio come si nota chiaramente nell’opera “Il trasporto del Sacro Legno” del 1452 di Piero della Francesca, molto simile al farsetto indossato di Pandolfo III Malatesta (1370 – Fano 1427) alla fine del XIV secolo. Sempre dello stesso artista, nella “Tortura dell’ebreo” del 1452 gli uomini indossano farsetti con maniche lineari, con lacci che lasciano intravedere la veste sotto o a “prosciutto”.
Anche nel particolare dagli affreschi in Santa Maria del Carmine a Firenze, di Masaccio, del 1425, vi è un uomo con indosso un farsetto nero a maniche semplici.

"Il trasporto del Sacro Legno", Arezzo

“Il trasporto del Sacro Legno”, Basilica di San Francesco, Arezzo

 

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“Tortura dell’ebreo”, Basilica di San Francesco, Arezzo

 

"Storie di San Pietro", Firenze

“Storie di San Pietro”, Santa Maria del Carmine, Firenze

Al di sopra del farsetto gli uomini, erano soliti ad indossare una “giornea” dal francese “jornee” cioè casacca. La giornea era una sopravveste che ricordava la guarnacca del periodo a cavallo tra XIII e XIV secolo; caratterizzata da aperture laterali, era diffusa senza maniche come quella indossata dagli uomini sempre ne “Il supplizio dell’ebreo” di Piero della Francesca, di colore bianco abbinata al farsetto nero o di colore azzurro abbinata a quello grigio, tra essi vi è un uomo con indosso una giornea verde ampiamente diffusa dopo la metà del secolo. Questa sopravveste era trattenuta in vita da una cintura visibile, a volte, solo sulla parte frontale lasciando libera la giornea sulla schiena creando una sorta di mantello.
Originariamente fu di uso militare (surcot) dal secolo XIV e indossata ad uso civile dal secolo XV, fu foderata anche di pelliccia o di seta e le maniche erano aperte formando una specie di mantellina per lasciare spazio a quelle del vestito come appunto quella verde dell’uomo nella rappresentazione di Piero della Francesca.
Nell’opera della prima metà del Quattrocento “De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum”, del maestro di ballo e teorico della danza italiana Guglielmo Ebreo da Pesaro, la quale era un ampliamento del “De arte saltandi et choreas ducendi” del suo maestro Domenico da Piacenza, si trova una miniatura in cui l’uomo raffigurato indossa una giornea verde stretta da una cintura chiara. Grazie a Guidi di Giovanni di Ser Giovanni, conosciuto con lo pseudonimo di Scheggia, nella Galleria dell’Accademia di Firenze nel “Corteo nuziale” (Cassone Adimari), del 1440, si possono identificare diversi tipi di giornee, da quelle a tinta unita a quelle in damascato o rifinite in pelliccia e te varianti con maniche come quella rossa. Un’altra versione di giornea la troviamo nel “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck del 1434. Questa sopravveste, lunga fino al polpaccio, era bordata di pelliccia, ma poteva esserne confezionata anche totalmente, come si vede nel particolare, per questo prendeva anche il nome di “pelliccione”.

Da "De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum", Guglielmo Ebreo da Pesaro

Da “De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum”, Guglielmo Ebreo da Pesaro

 

Corteo nuziale, Cassone Adimari, Firenze

Corteo nuziale, Cassone Adimari, Firenze

 

"Ritratto dei coniugi Arnolfini", 1434, National Gallery, Londra

“Ritratto dei coniugi Arnolfini”, 1434, National Gallery, Londra

 

Pelliccione di Giovanni Arnolfini, mercante di Lucca

Pelliccione di Giovanni Arnolfini, mercante di Lucca

Nel particolare tratto dall’affresco realizzato verso la metà del secolo di Benozzo Gozzoli (Firenze 1421 – Pistoia 1497) presso la Chiesa di San Francesco di Montefaco, costruita nel Trecento, l’uomo da sinistra indossa una giornea senza maniche di colore giallo, mentre l’uomo a fianco porta un mantello, comunemente chiamato anche “tabarro” mentre,  a destra, vi è un uomo con una giornea con le maniche ugualmente aperta ai fianchi come quella senza maniche e fermata in vita da una cintura, dando ricchezza all’indumento.

Benozzo Gozzoli

Benozzo Gozzoli

Gli stessi indumenti sono presenti nella “Adorazione dei Magi” di Masaccio del 1426 esposta al Museo Statale di Berlino: gli uomini indossano una giornea blu e un tabarro (mantello) di colore scuro. Gli uomini inginocchiato portano petto de legate in vita con maniche rifinite in pelliccia.

Masaccio

Masaccio

Sempre presso il Museo statale di Berlino, si trova un’opera di un altro artista italiano: Domenico Veneziano conosciuto con il soprannome di Domenico di Bartolomeo (Venezia, 1410 – Firenze, 1461). Nella “Adorazione dei magi” del 1439 di Veneziano sono identificabili giornee confezionate con diversi modelli, stoffe e orli; al centro gli uomini indossano sopravvesti elaborate, mentre l’uomo di profilo porta una giornea affrappata e quelli in sella ai cavalli indossano giornee semplici a tinta unita rossa o nera come l’uomo in piedi.

Domenico Veneziano

Domenico Veneziano

L’accorciandosi e il modificandosi delle vesti metteva in vista le gambe avvolte nelle calze di panno colorate, attaccate direttamente alla cintura o legate attorno all’orlo superiore delle brache, erano confezionate in due colori verticali e quindi in due fogge diverse e successivamente contemporanee alla diffusione di calze monocolore, di frequente uso in questo secolo il colore nero come si nota chiaramente nella miniatura della prima metà del XV secolo di Rogier van der Weyden, le calze di Filippo il Buono (Digione 1396 – Brugnes 1467) sono attillate e nere.

Da “Chroniques de Hainault”, Filippo III di Borbogna (Filippo il Buono), Rogier van der Weyden, 1400 -1464

Nell’opera “Predica di San Pietro alla presenza di San Marco”, del 1434 esposta a Firenze nel Museo di San Marco, si ha un’ampia panoramica dei capi d’abbigliamento maschili della prima metà del Quattrocento; vi sono uomini illustri con toghe talari e mantelli, come l’uomo con la tunica scura e il mantello rosso, l’uomo inginocchiato con l’elmo in mano indossa una pellanda frangiata sull’orlo e sulle maniche, quello di fronte indossa una giornea con maniche aperte con una cintura a placche dorate, l’uomo con il cappello al collo porta una giornea, in piedi a destra vi è un uomo in lucco rosso dalle maniche tronche e quello che corre con lo scudo sopra alla testa indossa una gonnella; si notano anche vari tipi di cappelli o berretti, di panno “a becco”, “alla capitanesca” conosciuti anche come “sforzeschi”, “a calotta” detti anche “zucchetti”, capperoni o “ciambelle” imbottite varianti originali del mazzocchio utilizzato dopo la metà del secolo.

"Predica di San Petro alla presenza di San Marco", 1434, Museo di San Marco, Firenze

“Predica di San Petro alla presenza di San Marco”, 1434, Museo di San Marco, Firenze

La verticalità della moda influenzata da innovative strutture architettoniche diede luogo anche ad un caratteristico copricapo realizzato dal disegno geometrico originario di Paolo Uccello (Firenze, 1397 – Firenze, 1475): il “mazzocchio” una sorta di ciambella imbottita da posare sul sommo capo.

L’immagine raffigurata nello studiolo di Federico da Montefeltro, venne estesa anche all’abbigliamento, come copricapi, individuabili ne “La Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello del 1432, indossato da Niccolò da Tolentino e dai suoi uomini.

Lavorazione in legno dallo studiolo di Federico da Montefeltro

Lavorazione in legno dallo studiolo di Federico da Montefeltro

 

Particolari de "La battaglia di San Romano", 1432

Particolari de “La battaglia di San Romano”, 1432

In Santa Maria Novella a Firenze, dalle opere di Paolo Uccello, si nota il particolare nelle “Storie di Noè” in cui gli uomini indossano un mazzocchio con colorazione a scacchiera.

Particolare da "Storie di Noè", 1436

Particolare da “Storie di Noè”, 1436

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