Moda femminile nella prima metà del XV secolo

Il periodo che va dal 1400 al 1415 fu un inizio appropriato per un secolo che denota eccessi e lussi nel campo della moda; la moda femminile ha attraversato una vera e propria evoluzione progressiva nel tempo, dando grande varietà di scelta tra forme, accessori, acconciature, maniche e copricapi per la donna di questo periodo.
Il guardaroba, ovvero come termine storico la “roba”, era gelosamente e preziosamente conservato in cofani, bauli o cassoni di legno che, grazie alla loro forma rettangolare e alla loro grande dimensione in lunghezza, permettevano di mantenere facilmente la piega delle vesti. Questi cassoni erano impreziositi da ricami intagliati nel legno o dai coperchi bombati dipinti o ricoperti da stoffe preziose.
L’esigenza di tenere gli abiti in questi bauli non era solo quella di mantenerli in forma, ma anche quella di salvaguardarli da umidità o insetti visto il costo dei capi, che molto spesso dipendeva dalla quantità e dalla quantità del tessuto impiegato e dagli ornamenti (gioielli o ricami) utilizzati.

A destra. Particolare A sinistra. Cassone Adimari, particolare  “Corteo nuziale”, Giovanni di Ser Giovanni 144o alla Galleria dell’Accademia di Firenze.
A destra. Cassone in legno al Palazzo Sforzesco di Milano. Cassone in legno di Federigo da Montefeltro al Palazzo ducale di Urbino

Nella formazione e nell’educazione, la donna acquisiva quelle dottrine necessarie alla vita “di casa” come cucire e rammendare, conservare e profumare gli indumenti, lavare o eliminare macchie o liberare un capo dai parassiti, ad esempio con le foglie di “alnus incana rugosa” della pianta d’ontano simili a quelle della betulla.

In molte abitazioni era presente un telaio, il compito della produzione tessile domestica era affidato alle donne. Queste avevano svariate mansioni tra cui la custodia e l’educazione dei figli, la cura del giardino e del cortile, la gestione del cibo e appunto l’organizzazione e la produzione del vestiario che poteva essere anche destinata al commercio. In Italia, grazie ai nuovi meccanismi del telaio, dopo l’importante innovazione del telaio a pedale del XIV secolo, la tessitura nel XV secolo, raggiunse una grande perfezione con città madre Firenze, la quale venne considerata tra i maggiori esponenti dell’Arte tessile in tutta Europa conosciuta per la sua Arte Calimala.

Oltre a Firenze, città come Bologna, Pavia e Lucca si contendevano il primato per la lavorazione della seta e anche Napoli, Venezia esportavano i loro preziosi tessuti in tutta Europa mentre Genova e Milano erano note e stimate per la produzione di finissimi velluti.

A sinistra. Telaio a pedale 1360 A destra. Telaio a pedale e telaio verticale prima metà Quattrocento A sinistra. Telaio a pedale 1360
A destra. Telaio a pedale e telaio verticale prima metà Quattrocento

I vestiti del Quattrocento esprimevano un’epoca di splendore grazie anche allo sviluppo dell’economia, del commercio e dell’architettura; lo stile e il gusto nell’abbigliamento si affermava nelle corti italiane, i capi e le acconciature seguivano una moda improntata su fogge originali e lussuose. Gli storici del XV secolo esaltavano la signorilità degli ornamenti delle dame, l’eleganza e la femminilità tipica delle donne italiane in quanto, descritte, come armoniose e aggraziate.
L’abito dunque era espressione femminile per scollature, strascichi, pellicce, fogge e ornamenti, il quale era, in base ai cambiamenti, motivo di discussione tra i religiosi e controllato dalle leggi suntuari; si ricorda a tal proposito una legge bolognese del 1401 che ostacolava le donne all’utilizzo di abiti foderati in pelliccia più larghi di dieci braccia, coloro che erano già in possesso di queste vesti, dovevano denunciarle e farle timbrare in modo che fossero inserite nel “Registro delle vesti bollate”.
Nel 1440 vennero imposti altrettanti divieti da Sigismondo Pandolfo Malatesta (Rimini 1417 – 1468) signore di Rimini il quale sottoscrisse la moderazione del lusso nell’abbigliamento femminile impedendo l’uso di abiti foderati in pelliccia di vaio ovvero un animale simile allo scoiattolo con la pancia bianca e il dorso grigio cenere, di ermellino e di marmora.
Queste proibizioni esprimevano, nella società della prima metà del Quattrocento, una sorta di intento moralistico.
Le leggi suntuarie, oltre a regolarizzare l’uso delle pellicce, si occupavano anche dell’eccessivo impiego di vesti e gioielli; ad esempio nel 1444 Terni designò Giacomo di Monteprandone della Marca (Monteprandone 1393 – Napoli 1476), discepolo di Bernardino da Siena, predicatore contro lusso e sfarzo, per redigere normative su vesti e gioielli di valore superiore a un terzo della propria dote.

image Pellanda con orlo in pelliccia. Fra Filippo di Tommaso Lippi, 1440
Pisanello. Principessa estense. Decorazioni con perle sulla manica. Pisanello. Principessa estense. Decorazioni con perle sulla manica.

Il guardaroba femmine era composto da indumenti intimi come la camicia, “interulas a muliere”, conosciuta in Europa con il nome di “chamise” o “chemise” di fibra di lino e gli studiosi del tempo indicavano, per le donne più povere, camicie di canapa in quanto tessuto più economico e resistente ai lavaggi; in Italia, la maggior produzione di canapa apparteneva nel XV secolo alle Marche come si legge nelle informazioni contenute negli Statuti Comunali.
La camicia appariva dallo scollo, dagli orli degli abiti e dalla fessura laterale per la chiusura dell’abito e serviva sia per proteggere il corpo da alcuni rigidi tessuti e per fornire un ulteriore strato di calore, sia per salvaguardare gli abiti dal sudore e dall’odore del corpo. Era considerata un indumento intimo e “da camera” in quanto, viste le leggi suntuarie, le donne erano obbligate ad indossarla anche di notte.
La camicia ha riferimenti illustrativi nei Tacuinum Sanitatis, negli Affreschi nel Castello della Manta come ne “La fontana della Giovinezza” del 1411/16, nell’opera dei primi del Quattrocento “Dionisio I umilia le donne di Locri” e riferimenti scritti, come nelle penitenze di Elena di Udine, che da vedova prese un voto di silenzio per espiare una vita peccaminosa, da cui si legge che possedeva una camicia usata per vestire se stessa o dal registro dei possedimenti del 1397 di Margherita Datini di Prato in cui si trovano anche camicie di lana per l’inverno.

La camicia di lana di Margherita Datini stava ad indicare la presenza di camicie di fogge diverse, infatti si rivelano, oltre a quelle povere in canapa e quelle diffuse in lino, anche in cotone, in seta e appunto in lana; ovviamente con il cambio tessuto, anche il colore cambiava, da un écru scuro della canapa a quello chiaro del lino e della seta fino al bianco del cotone introdotto e lavorato dalla Sicilia dal IX secolo.

Camicie in Tacuinum Sanitatis Camicie in Tacuinum Sanitatis

 

La Fontana della. Giovinezza La Fontana della Giovinezza

 

Dionisio I umilia le donne di Locri Dionisio I umilia le donne di Locri

Oltre alla camicia estesa fino alla caviglia a manica lunga e stretta o con degli innovativi spallini, vi era una sorta di reggiseno che si poteva già ritrovare tra gli antichi romani, i quali non apprezzavano la vista di grandi seni femminili perciò le donne trovarono un modo per ridurre il seno; ad esempio il “mammillare” inteso come fascia di cuoio che serviva per appiattire e contenere la crescita del seno oppure lo “strophium” che lo conteneva senza comprimerlo, più ampio era il “cestus” cioè un corpetto di cuoio morbido. Addirittura già nella storia greca, il mito narra che fu Venere ad inventarlo ed a consigliarlo a Giunone, notoriamente prosperosa, ma il primo esempio documentato di vero reggiseno, si ebbe nel 2008 durante i lavori di restaurazione nel castello di Lengberg, nell’est del Tirolo austriaco, risalente alla metà del XV secolo.
La scoperta fatta nel castello austriaco ha testimoniato l’esistenza di reggiseni simili a quelli di moderna concezione, già presenti nel 1400.
Gli storici austriaci dell’università di Innsbruck fecero l’importante scoperta archeologica in una sala sigillata del castello; tra un arredamento ben conservato rinvenne alla luce un baule contenente capi di biancheria intima femminile.
Si trattava di preziosi indumenti in cotone in parte rovinati dal tempo, ma si potevano ancora notare ricami e decorazioni, tanto da far dubitare la data di provenienza. A lasciare stupefatta l’archeologa Beatrix Nutz, responsabile della ricerca dell’Università di Innsbruck, era il fatto che gli antichi indumenti mostrassero tratti e caratteristiche molto simili ai reggiseni odierni, con tanto di “coppe”, ma gli esami al radio carbonio tolsero ogni dubbio: i quattro reggiseni ritrovati erano in uso tra il 1440 e il 1485.
Oltre a questa sorta di reggiseno, vi erano bende o camicie modellate per sostenere il seno e, dagli scritti, risulta che venivano realizzati sacchetti di fieno per aumentarlo tant’è che le autorità di Strasburgo denunciarono l’inganno e, al riguardo, fu emanato l’ordine che proibiva alle donne di sostenere il seno sia per mezzo di sacchetti cuciti direttamente alla camicia, sia con vesti ristrette sotto al seno.

Insieme alla camicia e alle fasce/coppe usate per il seno, vi era un altro indumento intimo, meno diffuso: le “feminalia”. Queste mostravano le caratteristiche delle brache maschili, conosciute come “femoralia” in quanto la loro lunghezza non andava oltre al femore. Feminalia e femoralia risultano ben visibili nell’opera del Maestro del Castello della Manta del XV secolo “La fontana della Giovinezza” presso la Sala baronale del Castello della Manta.
Questo indumento intimo rimase popolare fino all’uso delle “braghesse” femminili del Cinquecento.

Ritrovamenti al castello di Lengberg Ritrovamenti al castello di Lengberg

 

A sinistra. Particolare di A sinistra. Particolare di “Jason and Medea”, tratto dall’opera siciliana del poeta Guido delle Colonne, 1445
Al centro. Particolare, Museo d’Arte di Braunschweig, Germania, 1420
A destra. Particolare, Biblioteca Nazionale Austriaca, Vienna, 1448

Oltre alla camicia, la roba femminile era composta da veste e sopravveste, ovvero tre starti.
La veste, conosciuta come in passato con il nome di “gonnella”, indossata al di sopra della camicia, presentava due tipologie di scollatura: rotonda soprattutto dal 1420 e “a barchetta” ampiamente diffusa alla fine del 1300. Il taglio rotondo era più alto frontalmente e più basso sulla schiena lasciando intravedere qualche centimetro di camicia visibile nelle opere di Beato Angelico “Madonna con il Bambino e dodici angeli” del 1422, “L’imposizione del nome al Battista” del 1428 e “Predica di San Pietro alla presenza di San Marco” del 1434 o nelle opere di Paolo Uccello “Natività della Vergine” del 1435 e, con scollo ampio rotondo sulla schiena “Presentazione della Vergine al tempio” sempre del 1435 o anche nell’opera di Stefano di Giovanni di Consolo (Cortona, 1400 – Siena, 1450), conosciuto con lo pseudonimo Sassetta, “Matrimonio mistico di San Francesco” databile tra il 1437 e il 1444.

Beato Angelico. Madonna con il Bambino e dodici angeli. L'imposizione del nome al Battista. Predica di San Pietro alla presenza di San Marco Beato Angelico:
Madonna con il Bambino e dodici angeli.
L’imposizione del nome al Battista.
Predica di San Pietro alla presenza di San Marco

 

Paolo Uccello: Adorazione del Bambino. Presentazione della Vergine al Tempio Paolo Uccello:
Adorazione del Bambino.
Presentazione della Vergine al Tempio

 

Sassetta: Matrimonio mistico di San Francesco Sassetta:
Matrimonio mistico di San Francesco

Riguardo la scollatura “a barchetta”, lasciando la pelle ampiamente scoperta sul petto e sulle spalle, nei testi relativi all’educazione delle fanciulle del Quattrocento, nelle descrizioni riportate da Van Thienen F.W.S. (del 1941), si legge di quanto erano considerati assurdi questi scolli dato che le donne morivano dal freddo al ventre e al seno, parti più bisognose di calore rispetto ai talloni.
Questa tipologia di ampia scollatura diffusa alla fine del XIV secolo nelle vesti femminili, si trova nei Tacuinum Sanitatis; le immagini mostrano quanto fosse scoperta realmente la pelle come anche nell’illustrazione del 1406 tratta dall’opera di Christine de Pizan.

Tacuinum Sanitatis Tacuinum Sanitatis

 

Christine de Pizan Immagine tratta da Christine de Pizan

La gonnella, oltre a scolli diversi, poteva avere anche maniche confezionate in diverso modo, la forma più conosciuta rimaneva quella delle maniche “a tubo” ovvero semplici maniche senza particolari tagli, affrappature (frange) o lunghezze, con quattro varianti terminanti: leggermente svasate al polso, come si trova in “Storie di San Giuliano” di Masaccio del 1423, o in un polso stretto lungo fino a metà palmo, come si vede nell’opera riportata dagli scritti di Rosita Levi Pisetzky riguardo la veste al di sotto della pellanda di Santa Dorotea, oppure strette dal gomito al polso con una serie di bottoni ravvicinati visibili nell’opera “Madonna con il Bambino” di Paolo Uccello del 1431, o semplicemente strette al polso individuabili in “Desco da parto” di Masaccio del 1426.

imageRispetto all’ampia scelta riguardo la confezione delle maniche dal gomito al polso nella gonnella, vi era, dal 1425 circa, la possibilità di scelta anche nella lavorazione dal gomito alla spalla; poteva essere lineare come nell’abito damascato indossato da Santa Caterina d’Alessandria nel suo ritratto eseguito da Beato Angelico del 1448, o “bombato”, “rigonfiato”, “a sbuffo” (a prosciutto) come emerge sempre con Angelico in “Incoronazione della Vergine” del 1432 o negli abiti in “Sant’Anna, la Madonna col Bambino e i cinque angeli” di Masaccio del 1425 o anche con Paolo Uccello in “San Giorgio e il drago” del 1450.

imageVerso il 1450 si diffonde una nuova variante per quanto cencerne la confezione delle maniche, la manica “a sbuffo” largamente diffusa nel periodo terminava con un polso stretto che lasciava intravedere la camicia sottostante sia dal polso, sia attraverso una fessura che si richiudeva tramite lacci solitamente di stoffa o ricami a nodo a metà avambraccio o fino al gomito. Questo tipo di manica si trova con l’opera di Piero della Francesca “Adorazione del Sacro Legno e incontro tra Salomone e la Regina di Saba” del 1452 o nel dettaglio visibile anche nella “Madonna del parto” del 1450.

Leggenda della vera Croce - L'adorazione del Sacro Legno e l'incontro di Salomone con la regina di Saba Leggenda della vera Croce – L’adorazione del Sacro Legno e l’incontro di Salomone con la Regina di Saba

 

Madonna del parto Madonna del parto

La gonnella si presentava stretta sotto al seno e in vita e ampiamente larga nella lunghezza mettendo in mostra la femminilità del corpo della donna, caratteristica poco apprezzata dalla gente di Chiesa. Quando nel 1300 l’allacciatura appariva sulla schiena, sotto alla sopravveste, o con una serie di bottoni frontali (cottardita) o in tutta la lunghezza (cipriana), nella prima metà del Quattrocento l’allacciatura si spostò su un fianco, sotto l’ascella. Nelle opere pittoriche gli abiti spesso sono raffigurati senza lacci, questo perché non si parlava di finestre stringate come quelle dell’inizio del Trecento (cyclade o surcot o guarnacca), ma di tagli sull’abito chiusi che permettevano la vestibilità, ma non lasciavano intravedere sempre la camicia.
Questo tipo di allacciatura si può vedere in Italia dal Maestro della vita di Maria, conosciuto con questo nome in quando autore di un altare con scene della vita di Maria nella chiesa di Sant’Orsola (sette tavole conservate a Monaco, Alte Pinakothek, una a Londra, National Gallery) nella “Visita della Madonna ad Elisabetta” della prima metà del XV secolo esposto a Monaco, o nel 1450 in Piero della Francesca con “La Madonna del Parto” in cui è già presente l’allacciatura frontale tipica della seconda metà del secolo, ma rimane nell’abito ancora il taglio sul fianco. Sempre ben visibili anche nelle opere di Van der Weyden come ne “La Visitation” del 1435 o nella “Triptyque de l’Annonciation” del 1434 nel polittico con la Natività o ne la “Depostion” del 1440. Gli abiti sono chiusi grazie a queste fessure stringate che, una volta strette, diventavano tutt’uno con l’abito. I lacci era composti da fili di lana intrecciati, prodotti con uno strumento di legno simile ad una forcella, di derivazione anglosassone, conosciuto con il nome di “lucet” molto usato anche per l’abbigliamento maschile.

Visita della Madonna ad Elisabetta Particolare. Visita della Madonna ad Elisabetta

 

Particolari. La Visitation. Triptyque de l'Annonciation. Depostion Particolari. La Visitation. Triptyque de l’Annonciation. Depostion

Nei ceti più bassi, come si riscontra nei Tacuinum Sanitatis, le donne sopra alla gonnella erano solite ad indossare un grembiule, sia nei lavori in casa sia fuori, per proteggere l’abito. Il grembiule era confezionato in casa con tela di canapa o lino e si allacciava in vita. Quest’uso era comune anche tra le serve di corte in quanto erano adibite alla cucina e alla pulizia.

Tacuinum Sanitatis Tacuinum Sanitatis

Abbandonate le cottardite/cipriane abbottonate frontalmente e le guarnacche/surcot di origine francese del Trecento oltre alla gonnella, veste, visibilmente stretta sotto al seno e al punto vita, sempre dalla metà del 1400 si stava diffondendo un nuovo tipo di sopravveste: la “giornea”. Da ciò che si nota nelle donne ne “L’adorazione del Sacro Legno e l’incontro di Salomone con la Regina di Saba”, da sinistra di verde, di bianco, d’azzurro e a destra di rosso, la giornea risultava molto simile ad una guarnacca trecentesca, si trattava di una specie di casacca, ma aperta completamente sui fianchi, lunga fino alle punte dei piedi e generalmente dotata di strascico tondo il quale aveva delle restrizioni in base alle leggi suntuarie, ad esempio quelle riguardanti la moderazione del lusso del 1440 in opposizione allo strascico come segno di grande vanità ed eccessivo spreco di stoffa e quindi denaro.
Per le donne della metà del Quattrocento la giornea si presentava lineare o variamente decorata con affrappature, intagli o decorazioni in base all’importanza della persona che la indossava e dell’occasione. Questa sopravveste non era di uso prettamente nobiliare; mogli e figlie di mercanti, commercianti, artigiani e donne di corte erano solite ad indossare l’indumento come segno di femminilità ed eleganza.
Bernardino da Siena (Massa Marittima, 1380 – L’Aquila, 1444) attaccò in una delle sue prediche la moda della giornea femminile paragonandola alla coperta che si utilizzava per i cavalli rimproverando le donne che impiegavano troppo tempo al loro aspetto.
Nel “Corteo nuziale” di Giovanni di Ser Giovanni detto Scheggia databile al 1450 è conservato alla Galleria dell’Accademia di Firenze le donne indossano giornee di diverso tipo, semplici o con decorazioni dorate e un visibile strascico, una decina d’anni dopo si trova nel ritratto della donna del 1450 di Piero della Francesca.
Questo indumento presentava la scollatura rotonda leggermente più ampia sulla schiena; era confezionato con una grande quantità di stoffa che, oltre allo strascico, era necessaria per dare una sorta di morbidezza all’intero abito; fermato da una cintura di tre o quattro dita appena sotto al seno e sopra alla vita, creava un’arricciatura lasciando la parte superiore (dagli spallini alla cintura) aderente al corpo e la parte inferiore più larga. La cintura era visibile solo frontalmente, in quanto dietro non veniva allacciata sopra alla giornea, ma, passando attorno alla vita, era allacciata sotto all’indumento per consentirne sinuosità e morbidezza, peculiarità individuabile nei ritratti.

Particolari dal Cassone Adimari Particolari dal Cassone Adimari “Corteo nuziale”
Piero della Francesca.1450 circa Piero della Francesca.1450 circa

Considerata la giornea come indumento estivo, vi era un altrettanto indumento invernale: la “pellanda”, molto diffusa in tutta la prima metà del secolo.

La pellanda femminile è una sopravveste o “cappotto” lunga da coprire le scarpe, ampia in fondo e più stretta in vita, foderata di stoffa o di pelliccia in ermellino o scoiattolo e poteva essere indossata con o senza cintura, con maniche di forme diverse fino a quelle immense da creare un lungo strascico, talvolta affrappate.
La Principessa d’Este di Pisanello del 1435 indossava una pellanda ampia ed importante con strascico con maniche a tromba a terra; la cintura era posizionata sotto al seno dalla quale la lunga coda della veste scendeva con ampie pieghe dando slancio alla figura. I capelli sono raccolti in nastri e fili di perle, lasciando la fronte completamente libera, come detta la moda di questo periodo.

Principessa d'Este Principessa d’Este

Nel XV secolo, specie in Lombardia e nelle regioni del nord, aveva la vita alta e un’ampia gonna da formare grandi pieghe, quando le regioni del sud mantenevano stretta la vita dando una parvenza di corpetto aderente. Di uso comune già dalla fine del XIV secolo, la pellanda rimase molto diffusa per tutto il secolo e scomparse in Italia e in Francia alla fine del Quattrocento, sostituita dalla “soca”.
Era confezionata con tessuti pesanti e ricamati; nei primi decenni del secolo si presentava con un alto collo abbottonato, anche orlato con pelliccia, il quale, nel giro di pochi anni, venne abbandonato a favore di un collo largo e floscio alla marinara oppure da un colletto rovesciato.
Come la gonnella, la pellanda presentava varie tipologie di maniche. Di Rogier van der Weydan del 1443, nel dettaglio dal “Trittico della Crocifissione”, la donna indossa una pellanda foderata di pelliccia nera con maniche in sacchi e con l’apertura frontale estesa sotto la vita; la stessa manica, ma portata in modo diverso si trova indossata dalle donne al centro del “Corteo nuziale” di Scheggia del 1440, mentre, nel medesimo affresco, la donna a destra porta un’altra tipologia di maniche come quelle della donna in “Dama che gioca a palla” del Maestro dei Giochi Borromeo del 1450. La donna di Jan van Eyck del 1432 dal dettaglio della “Adorazione dell’Agnello” porta una pellanda di lana con il collo rigirato e con grandi maniche aperte, questa varietà di maniche si trova anche nei Tacuinum Sanitatis, mentre maniche abbondantemente ampie e lunghe si trovano nella raffigurazione pittorica del 1420 che orna la grande sala baronale del Castello della Manta in cui le donne indossano pellande di diverse fattezze, come quelle a maniche lunghe e ampie da formare uno strascico utilizzate anche dalle donne nella miniatura “Christine de Pizan presenta il suo libro a Isabella di Baviera” della prima metà del XV secolo o altrettanta ampiezza si trova nella festosa scena equestre illustrata nel manoscritto del Duca di Berry.

Particolari. Trittico della Crocifissione. Corteo nuziale Particolari. Trittico della Crocifissione. Corteo nuziale

 

Particolari. Corteo nuziale. Dama che gioca a palla Particolari. Corteo nuziale. Dama che gioca a palla

 

Particolari. Adorazione dell'Agnello. Tacuino Sanitati Particolari. Adorazione dell’Agnello. Tacuino Sanitati

 

Particolari. Eroina dei Nove prodi e Nove Eroine, Castello della Manta. Illustrazione da Christine de Pizan. Festa equestre alla corte francese del Duca di Berry Particolari. Eroina dei Nove prodi e Nove Eroine, Castello della Manta. Illustrazione da Christine de Pizan. Festa equestre alla corte francese del Duca di Berry

Come la ciclicità della moda influì su vesti e sopravvesti, anche la pellanda mostrò richiami trecenteschi: mantenne la caratteristica dei tagli per le braccia come il “pelicon” della fine del ‘200 e inizi del ‘300. La somiglianza si denota ne “Il Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan van Eyck del 1434 esposto alla National Gallery a Londra. Qui si percepisce l’esagerazione della stoffa utilizzata tant’è che gli storici alludono a una gravidanza della donna, ma in realtà sottolineano il fatto che non fosse incinta, ma la sua posizione si limitava ad essere un gesto rituale, una promessa di fertilità evidenziata tramite la cintura particolarmente alta, tenendo in mano la stoffa in eccesso all’altezza del ventre; la stessa quantità di stoffa e lo stesso taglio per le braccia si rivela anche nel dipinto del 1439 presso la Biblioteca Nazionale Austriaca a Vienna, lo stesso modello è visibile anche nell’affresco al Palazzo Borromeo di Milano del 1450.

Particolari. Ritratto alla National Gallery di Londra. Dipinto alla Biblioteca Nazionale Austriaca, Vienna. Affresco al Palazzo Borromeo, Milano Particolari. Ritratto alla National Gallery di Londra. Dipinto alla Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna. Affresco al Palazzo Borromeo di Milano

Nelle opere pittoriche sopra elencate, si mettono in luce vari stili di acconciature; le donne della prima metà del Quattrocento avevano ampia scelta sulle pettinature, da semplici chignon sul sommo capo a quelli intrecciati con nastri e perle e solitamente tenuti da crespine (reticelle che sorreggevano l’acconciatura già in uso alla fine del Trecento) o alti copricapi come quelli “a sella” indossati dalle donne in “Christine de Pizan presenta il suo libro ad Isabella di Baviera” o nel “Corteo nuziale”, utilizzati anche finissimi veli di seta. Una caratteristica fondamentale del periodo era la fronte alta pertanto risultava oppurtuno rasarsi la parte alta della fronte, particolare ben visibile in “Dama che gioca a palla” e nei ritratti della principessa estense di Pisanello o come in “Ritratto di donna” del 1450 di Paolo Uccello in cui l’acconciatura è arricchita da gioielli o poteva essere semplicemente una treccia come nel particolare “Testa maschile e testa femminile” di Masaccio del 1425 in cui i capelli scendono liberamente lungo la schiena. Nelle immagini inerenti ai Tacuinum Sanitatis, anche le donne dei ceti più bassi portavano i capelli in diverse acconciature.

Particolare. Testa femminile. Particolare. Testa femminile
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