La storia della borsa è molto antica; l’uomo preistorico, richiudendo una pelle di animale su se stessa, scoprì che si poteva ottenere una borsa per trasportare gli utensili e le pietre scheggiate. Da questa pelle ne deriva il suo nome, dal greco “byrsa”, che indicava per l’appunto il cuoio.
La sua diffusione seguì di pari passo l’uso delle monete; inizialmente vi furono tre semplici modelli di borsa: a “zona” che si portava alla cintura, a “crumena” che si portava a tracolla e a “manticula” da portare a mano.
Una borsa particolare diffusasi dopo le Crociate che fu introdotta in Europa, e particolarmente in Francia dopo le Crociate, fu la “aumonière sarrazinoise” cioè alla saracena, che ne ricordava l’origine orientale o semplicemente la “elemosiniera”; aveva la forma quadrata o trapezoidale, a volte increspata sulla parte superiore e legata alla cintura, nella quale si riponevano gli spiccioli delle elemosine. All’interno dell’elemosiniera esisteva una seconda borsa di cuoio, in cui si ponevano gli oggetti da portare; con il tempo l’elemosiniera si arricchì di chiusure metalliche e decorazioni.
La più antica testimonianza sulla lavorazione delle borse in Italia si ritrova nell’anno 1100 in Toscana, mentre a Venezia apparivano veri e propri artigiani detti “bolzieri”, derivazione di borsa, che lavoravano il cuoio.
Nel Medioevo erano di uso comune le borse che non occupavano le mani, diffuse in Italia con i termini di “carniere”, “bandoliere”, “tascapane” e “bisaccia”; queste versioni erano diffuse sopratutto tra lavoratori e viaggiatori, vista la loro comodità. A tal proposito si ricordano le borse “a tracolla” di forma quadrata dei pellegrini, utili a trasportare anche cibo e acqua lungo il tragitto, da cui appunto “tascapane” o “bisaccia”. Queste due tipologie di borse furono accessori indispensabili di cui si dotavano i pellegrini che si recavano in adorazione dei luoghi santi della cristianità: Santiago, Roma e Gerusalemme. Nel “Liber Sancti Jacobi”, del XIII secolo, si trova la descrizione riguardo la vestizione del pellegrino come una cerimonia liturgica in cui si indossava appunto questo accessorio che conteneva il minimo indispensabile per il viaggio: lasciapassare, ciotole per mangiare, denaro o carte che indicavano la strada.


Nel XIII secolo comparvero anche piccole borse di cuoio, seta o velluto da portare a mano o appese, per mezzo di un nodo scorsoio, alla cintura portata in vita conosciute come “tasche”, in francese “poche” da cui “pochette”, borsa a mano.
Non esistendo le tasche negli abiti medievali, le borse appese alla cintura annodata o fermata da un anello in metallo o con una semplicissima fibbia, fungevano appunto da tasche comunemente chiamate anche “scarselle”; queste servivano per riporre denaro, fazzoletti, piccoli utensili o oggetti personali e libretti di preghiere. Negli scritti dei secoli XIV e XV, le tasche e le “taschete” menzionate sono borse o scarselle.


I tagli nell’abito sia maschile, sia femminile, all’altezza del bacino che si osservano nei dipinti del XIV secolo, avevano il solo scopo decorativo, erano infatti solo “tagli” o avevano la funzione di “scaldamani” in quanto, oltre ad essere orlati con ricami, si presentavano anche con orli in pelliccia; solo nel tardo Cinquecento la tasca, più o meno nascosta, entra a far parte dell’abito maschile.
Ambrogio Lorenzetti
Giotto
Durante il corso del Medioevo la tasca diventò un importante elemento del vestiario cittadino, non solo per gli appartenenti alle classi ricche, ma anche per quelli delle classi meno agiate; ne fanno fede le Arti e le Coorporazioni del 1200. A Firenze le Coorporazioni di calzolai, cuoiai e caligai, che si occupavano della lavorazione del cuoio, avevano le loro botteghe lungo l’Arno dove venivano conciate le pelli per la realizzazione e la lavorazione di borse e scarpe; in breve tempo le borse si trasformarono da primitivi sacchetti di cuoio a preziose tasche decorate, di conseguenza anche i materiali cominciarono a diversificarsi: le più eleganti erano in seta di diversi colori, le più costose con ricami in oro, perle e gemme, nel 1300 si trovavano tasche di seta pregiata, in tessuto serico, in damascato con nastri e decorazioni in stoffa e metallo.

L’introduzione del lavoro a maglia fece sì che si producessero tasche “laborate ad acum”, alle quali, per indicare il casato di appartenenza, vi si poteva applicare lo stemma: particolare riportato nell’Inferno di Dante Alighieri, quando descrisse gli usurai che camminavano sotto una pioggia di fuoco con le borse attaccate al collo. Vi era anche l’usanza, da parte dell’uomo, di regalare una borsa alla donna, pertanto si trovavano borse con ricamate immagini del proprio amato.

La tasca, ormai diffusissima, aveva la forma di un sacchetto trapezoidale o rotondeggiante in basso e in alto si presentava una ribalta dalla quale, passando sotto la cintura, si chiudeva la borsa con un bottone alla fine del 1200 o delle stringhe, ma era abbastanza facile ai ladri, per ciò detti “tagliaborse”, ai quali bastava tagliarne la parte superiore per impadronirsi del sacchetto con il contenuto.
Quella più in voga era appesa alla cintura tramite lunghi legacci con i quali si chiudeva; alla fine di questi si applicavano dei “fermanodi” solitamente a forma di cono, conosciuti con il termine di “agugelli”, in metallo più o meno prezioso e lavorato che nel XV secolo si presentavano in svariate forme, misure e con differenti intagli.
Dalla seconda metà del Trecento, quando i vestiti maschili si accorciarono fino alle natiche e di conseguenza la cintura scese quasi all’altezza dei glutei, la borsa era posta nel mezzo, proprio davanti al pube; come scrisse sarcasticamente il mercante, storico e cronista italiano del XIV secolo Giovanni Villani nella sua “Nuova Cronica”, gli uomini, per mezzo della borsa, alludevano alla grandezza dell’organo su cui era appoggiata.
Nel Quattrocento erano diffuse tasche di diverse grandezze, lavorazioni, stoffe e decorazioni, in quanto si trovavano di seta, velluto, broccato, damascato e arricchite con perle, ricami, decorazioni in metallo e nastri. La moda era quella di appenderle alla cintura confezionata con la stessa stoffa della tasca fissata posteriormente con un semplice fiocco come si nota nelle opere di Pisanello o annodata attraverso un anello o una fibbia in metallo.

Verso la fine del XV secolo, al posto dei lacci come chiusura, il lato superiore s’inarcò presentando all’imboccatura un cerchio o semicerchio di metallo lasciato in vista o ricoperto di seta pertanto la borsa era sorretta per mezzo d’un piccolo anello sempre in metallo che, saldato a tale cerchio, serviva a tener tutto appeso alla cintura.
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