Il termine giullare arriva dal francese “joglar” derivante dal latino “iocularis” e comprende tutti quegli artisti che, per guadagnarsi da vivere, si esibivano davanti ad un pubblico, essendo contemporaneamente attori, mimi, musicisti, ciarlatani, addestratori di animali, ballerini e acrobati.Il termine iocularis appare negli scritti fin dal IX secolo utilizzato come sinonimo di “mimus” e “histrio” conosciuto comunemente nei significati di saltimbanco, buffone, acrobata, colui che si esibiva in pubblico attraverso il canto, i suoni, la danza e la recitazione.
Tra il X e il XIII secolo questi personaggi dalle mille facce si diffusero in Francia, in Italia, in Germania, in Inghilterra e nelle zone latine d’Oriente.
I giullari fecero della loro arte un vero e proprio lavoro e vennero riconosciuti come i primi veri professionisti delle lettere ed ebbero appunto una funzione molto importante nella diffusione di notizie, idee attraverso lo spettacolo e l’intrattenimento. Svolgevano questo lavoro in diversi modi e svariate tecniche: dalla parola alla musica, dalla mimica al ballo e alle acrobazie.
Nei loro “canti” utilizzavano diverse forme metriche ad esempio l’ottava e le ballate in generi letterari e temi diversi. Quella dei giullari un’arte letteraria spesso anonima sia sul piano anagrafico, sia sul piano culturale dato che ci si basa soprattutto sull’invenzione, sulla battuta ad effetto, sulla brillante e improvvisa trovata.
I documenti antichi dell’arte dei giullari risalgono al XII secolo quando, per farsi donare un cavallo, un giullare dedicò parole cantate all’arcivescovo di Pisa.
I giullari si trovavano ai margini della società e conducevano una vita vagabonda e irregolare; a questo “mestiere” partecipavano anche le donne, “giullaresse” considerate “donne dai facili costumi” a cui spesso era proibito l’uso del velo in testa e, generalmente, erano obbligate ad indossare vesti di colore giallo poiché le donne di buona famiglia dovevano assolutamente distinguersi da loro.
Costoro infatti erano guardati male dalla Chiesa condannandone lo stile di vita. L’immagine negativa di questi “buffoni” si trova anche nell’iconografia biblica: la figura di Salomè e l’insipiens del Salmo 52. La Chiesa mantenne questo stato di opposizione per secoli in quanto gli si colpevolizzava il fatto di produrre un godimento visivo e uditivo considerato peccato in quanto con i loro spettacoli risvegliavano il diavolo che ognuno porta con sè, quindi il giudizio storico-politico-morale li condannava, ma la loro voce e le loro abilità circolavano comunque visto che l’uomo, entrando in contatto con se stesso, considerava la vita un valore e gli stessi valori umani diventarono le cose più importanti; si ripresero così filosofi latini e greci in osservazione del sè.
Nonostante le dure condanne, grazie alla ricerca da parte delle corti di queste figure, i giullari erano destinati a una diffusione sempre maggiore, sia come intrattenitori di piazza e dei circoli cortesi, sia come veri e propri mediatori tra la Chiesa e la cultura popolare, infatti i giullari non erano soltanto divulgatori della tradizione epica ma anche di altri contenuti letterari e morali; infatti con il tempo la Chiesa dovette rassegnarsi ad ammettere l’influenza dei giullari sul popolo tant’è che si decise di approfittare della loro arte per diffondere la parola di Dio. Si ricorda a proposito San Francesco che si proclamò giullare di Dio.
ABBIGLIAMENTO
Dal XI secolo il vestiario giullaresco, in concomitanza all’immaginario mostruoso, suggeriva spunti e forme per rappresentare mostri e diavoli con lunghe tuniche anche nelle rappresentazioni sacre, le cosiddette “Laudi” drammatiche in cui la chiesa organizzava spettacoli riguardanti motivi religiosi che spesso si intrecciavano con storie della mitologia greca e con suggestioni pagane; nelle Laudi era sì comune l’utilizzo di abiti contemporanei, ma i costumi da diavoli e mostri erano utilizzati per aumentare l’effetto spettacolare; gli attori che impersonavano queste figure negative godevano di più ampia licenza nel linguaggio come nelle movenze, rispetto al comune senso del pudore, perché più appropriato in quell’ambito.
Con il tempo i giullari delle piazze erano soliti ad indossare un cappello con orecchie d’asino e si aggiungeva al costume pure la coda di asino. I vestiti indossati dal giullare delle corti usavano abiti sgargianti, con colori e divertenti. Il cappello di panno comune dei giullari medievali, chiamato “cappello dello sciocco”, era molto caratteristico, formato da tre punte con campanelli alla fine di ogni punto. Un buffone di corte era solito a portare anche un finto scettro chiamato “gingillo” terminato in punta da una testa scolpita o da una vescica gonfiata di un animale.
I giullari indossavano calzoni stretti con generalmente con gambe di colore l’una dall’altra, a tinta unita, a righe o a quadretti, soprattuto tra il XIV e il XV secolo.
Considerati “pazzi” i loro abiti dovevano dunque essere multiformi e multicolori, tali da essere ben visibili dalla folla; diveniva una sorta di veste selettiva, al pari di quella indossata dalle prostitute, oppure dai lebbrosi. Costoro, considerati emarginati, dovevano essere preannunciati anche acusticamente, da qui la comparsa di campanacci anche attaccati agli abiti e strumenti a fiato, che usavano per attirare il pubblico delle piazze alle loro manifestazioni, ma anche per farsi riconoscere già da lontano come “diverso” per cui evitabili dai buoni cristiani.
Il vestito del giullare è riconoscibile grazie alle sue strisce bicolore verticali viste come simbolo diabolico, manifestazione di disordine, al contrario della monocromia degli abiti dei cittadini per bene. L’abito multicolore e l’utilizzo delle bande verticali alternate era una vera e propria esternazione della follia e dell’anormalità di questi personaggi che impersonano la “follia” della cultura europea.
L’abito colorato di due soli colori, diviso verticalmente comprendendo calza-brache, tunica o cottardita, mantello o capperone, campanelli appesi al cappello e tanti oggetti strani alla cinta, caratterizzavano il giullare come un personaggio stravagante al punto da poter essere giustificato solo in periodi speciali come le feste e comunque tollerato solo a patto di considerarlo un folle e buffone. Il modello dell’abito era sintomo della volontà di provocare, troppo appariscente e inusuale per non destare scalpore. L’abbigliamento rispecchiava la moda maschile del tempo, dalle lunghe tuniche alle corte cottardite, la vera differenza stava nei colori e nei particolari attaccati all’abito, come campanelli e vari oggetti musicali o per lo spettacolo.
– Si consiglia la lettura di “I giullari nell’immaginario medievale” di Sandra Pietrini, Bulzoni Editore –
Da un poemetto risalente al XII secolo di origine cortigiana, probabilmente in lingua francese, “Il Lamento della sposa padovana” vi è un frammento che canta l’amore di una donna per il marito che combatte lontano, in Terrasanta.
Ruggieri Apulliese o “Apugliese”, giullare di Siena vissuto nella prima metà del XIII secolo, narrava e scriveva testi di sfondo politico: una canzone, costruita sullo schema di quelle dei trovatori, che imita i virtuosismi stilistici dei provenzali, un canto “sarcastico” considerato come una specie di frottola e, nella particolare forma metrica, viene esaltata la sua poliedrica bravura in tutti i mestieri e una strana parodia della Passione.
Un importante documento per questa letteratura è il “Contrasto”, metro di origine popolare, intitolato “Rosa fresca aulentissima” scritto in dialetto meridionale nella prima metà Duecento da un certo Cielo D’Alcamo che è un vero esempio di mimo giullaresco.
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