L’organizzazione delle feste, da parte di un signore, dipendeva da una serie di motivi, trai i quali la successione al potere, l’investitura di un figlio o un matrimonio o una qualsiasi ricorrenza per i quali si necessitava un festeggiamento. La festa di corte rispecchiava i rapporti di potere e l’ordine gerarchico internamente alla comunità anche nei posti a sedere attorno al banchetto.
Cibi, bevande, musiche e abiti corrispondevano al promotore.
A partire dal Trecento dipinti relativi al banchetto decoravano sia gli edifici civili sia quelli religiosi, contrastando la durezza della vita, artisti e committenti erano particolarmente attratti dai lieti racconti di feste. Le scene apparivano con particolare vivacità soprattutto in Italia, ma anche in area alpina, come testimonia la riunione di convitati del castello tirolese di Runkelstein, Castello di Roncolo (BZ) in Alto Adige (fine del Trecento).
Nel Quattrocento era consuetudine decorare le sale dei castelli, dei palazzi e delle residenze nobiliari con affreschi che raffiguravano scene di vita cortese e momenti di festa. Si trattava di rappresentazioni del lusso, dell’eleganza e del buon gusto cosa evidenziata anche nelle opere pittoriche che raffigurano banchetti e danze. L’iconografia nel corso del Medioevo metteva in evidenza il contrasto fra i banchetti dei signori, dove prevaleva la volontà di mostrare ricchezza ed eleganza, e quelli della gente semplice, desiderosa di sottolineare con il banchetto un momento di festa, abbandonando la monotonia e povertà della vita quotidiana.

Girotondo con musica, Bibbia di Borso d’Este, codice miniato, Biblioteca Estense Universitaria, Modena, 1455.
Durante i festeggiamenti organizzati a corte, si poteva assistere ad un momento di autoesaltazione e di affermazione di ideali e valori ormai in declino nel resto della società con un torneo “a tema”. Via via che la cavalleria perdeva d’importanza, negli ultimi anni del Trecento nacque il “torneo a tema”, nel quale i partecipanti scendevano in lizza, delimitata da paletti in legno, travestiti da personaggi dell’epica cavalleresca, in una cornice di ispirazione volutamente letteraria e fiabesca, dando vita ad un “combattimento a due”: il pas d’armes o “passo díarmi”. Diffuso in Italia nel Quattrocento il passo d’arme consisteva in una sfida lanciata da uno o più cavalieri, che s’impegnavano a “difendere” una località, ovvero “passo”, contro chiunque volesse misurarsi con loro.
Coloro che “combattevano” in questi tornei cavallereschi, con il XV secolo esibivano armature lucenti con elementi decorativi per elmi (piume e stemmi) e per armature (trofei e sopravvesti), chi assisteva ostentava abiti ricchi ed eleganti in rappresentazione dell’appartenenza all’alto rango.
Anche banchetti e danze, durante il Basso Medievo erano momenti per mettere in mostra i propri beni, dalle stoffe ai ricami, dai gioielli agli accessori.
Nel Quattrocento in palazzi, castelli e residenze nobiliari si trovavano raffigurazioni riguardanti feste e danze a corte; questi ricevimenti erano molto diffusi tra le famiglie ricche ed erano anche un mezzo per mostrare il proprio lusso.
Alla metà del 1400 Guglielmo da Pesaro si aggiudicò il titolo di miglior ballerino dell’Italia il quale fu anche un grande maestro di ballo dell’epoca. Fu chiamato dai nobili da Pesaro a Milano affinché insegnasse i balli alle giovani generazioni.
Nel Quattrocento, musica e danza erano considerate Arti liberali e razionali che, secondo il maestro, si intrecciavano durante la danza infatti sostenne l’importanza di non esibirsi senza un supporto musicale in quanto i ballerini, danzando, dovevano esprimere un preciso ordine ritmico attraverso i movimenti.
Tra il 1450 e il 1466, sotto il ducato di Francesco Sforza, partecipò a molte feste milanesi, contemporaneamente insegnò a Pavia e nel 1465 fu chiamato alla reggia di Napoli per insegnare lo stile lombardo a Madonna Lionora “publicizzato” dalla famiglia Sforza, importante alleata con il re di Napoli.
Nella sua vita ottenne lodi e riconoscimenti come ballerino, maestro di ballo e coreografo, ma nel perfezionarsi sostenne nel “De Pratica” che nonostante avesse trascorso trent’anni nelle varie corti, gli sembrava di non saper ancora ballare egregiamente; questa sua dichiarazione derivò dall’osservazione di coloro, conosciuti nelle corti, che si affermavano maestri di ballo quando, a parer suo, non sapevano nemmeno distinguere il piede destro da quello sinistro.
Nel Castello Visconteo Sforzesco, Museo della Calzatura e della Tecnica Calzaturiera si può ammirare il paio di scarpe da ballo in stoffa appartenuto a Francesco I Sforza (San Minato 1401 – Milano 1466).
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