Durante il corso di tutto il Medioevo la scrittura fu un’attività praticata quasi esclusivamente dall’apparato ecclesiastico e veniva svolta nelle scuole religiose con il nome di “scriptoria”.
Negli scritti vi era una grande varietà di tipi di scrittura, partendo dalla minuscola corsiva latina si svilupparono le scritture nazionali dal VII all’VIII secolo.
Le diverse scritture minuscole si potevano identificare per la loro appartenenza geografica o per essere state utilizzate da un determinato scriptorium.
Nell’alto Medioevo (476 – 1000) il papiro era raro, a causa della difficoltà dei collegamenti conseguenti all’abbandono delle strade romane, divenne necessario l’uso della pergamena ottenuta dalla pelle di pecora, ma anche di altri animali, e per questo chiamata anche cartapecora.
I monaci immergevano le pelli nella calce poi le rischiavano, le facevano essiccare e successivamente le tagliavano in fogli. Altri strumenti utilizzati dai copisti erano la penna d’oca, il temperino o il raschietto per aguzzare la penna e per raschiare dal foglio macchie ed errori; gli inchiostri solitamente erano fabbricati secondo ricette tenute segrete.
Le parole del testo erano scritte con un inchiostro scuro, mentre i titoli erano in rosso; nei manoscritti importanti le lettere iniziali erano molto più grandi in modo da contenere rappresentazione di scene religiose o di vita quotidiana conosciute con il nome di “miniature” termine derivante da “minio” cioè una sostanza rossa utilizzata per la scrittura.
Col tempo anche la pergamena divenne preziosa dato che dalla pelle di pecora si tenevano solo quattro fogli, i monaci furono dunque costretti a cancellare, attraverso l’uso del raschietto, le pergamene più antiche e ad usarle per scrivere nuovi testi (molte opere importanti andarono perdute, ma gli studiosi moderni, grazie all’impiego di raggi ultravioletti, riescono a rendere visibili gli antichi manoscritti chiamati con la parola greca “palinsesti” cioè raschiati di nuovo ricuperando molti testi finora sconosciuti).
Nei conventi medievali si produssero soprattutto “codici” ovvero grandi libri formati da fogli piegati in due e cuciti insieme; in passato, invece, le strisce di papiro o di pergamena erano avvolti in un rotolo cioè in un “volumen” (rotolo) che significa, ma questi risultavano scomodi durante l’impiego in quanto chi leggeva aveva entrambe le mani occupate e non poteva prendere appunti, mentre il codice risultava più maneggevole, più comodo, più resistente e più economico perciò fu preferito al rotolo.
Nel basso Medioevo (1000 – 1492) ciò che manteneva attivo l’alfabetismo era l’insegnamento impartito all’interno di élite burocratiche o professionali come notarii, tabelliones o delle istituzioni religiose, vescovili o monastiche. Nell’alto Medioevo si arrivò all’equivalenza tra clericus e litteratus, seppur con scarsa capacità di leggere e scrivere, e tra laicus e illitteratus. Fino al X secolo erano gli oratores, uomini di preghiera, a possedere gli strumenti dell’Arte della scrittura, in Italia erano presenti alfabeti ad un certo livello anche tra laici che praticavano discipline professionali come il diritto e la medicina o, raramente, coloro che scrivevano dietro ad un compenso su committenza.
Sedi vescovili e i monasteri rimasero a lungo i cardini della conoscenza della scrittura.
A partire dall’XI secolo, ma soprattutto tra il XII e il XIII, nell’intera Europa e nell’Italia si diffusero, in concomitanza ai mutamenti socioculturali dell’epoca, alfabetismo e modi di scrittura. Nuovi e consistenti strati della popolazione laica iniziarono a mostrarsi in grado di leggere e scrivere, si diffusero così nuove pratiche di scrittura anche per quanto riguardava le lingue volgari.
Quando nel basso Medioevo gli individui scrivevano e acquistavano la capacità di farlo a fini di istruzioni religiose, obblighi penitenziali, costrizioni giuridiche, pratiche professionali, nel basso Medioevo si affermò la figura dell’individuo che scriveva per propria volontà e utilità.
Nacquero così figure di scriventi assai diverse per estrazione sociale e formazione culturale: notai, ecclesiastici regolari e secolari, mercanti e banchieri, piccoli proprietari, maestri e scolari.
Dal Duecento, in Italia, la produzione di documenti pubblici dei Comuni, delle signorie territoriali e delle proprietà private venne ad aumentare considerevolmente dando libera diffusione alla figura dello scriba a pagamento; soprattutto nelle città, in cui vi erano sedi universitarie, si attivarono stationes librarie; i copisti si costituiscono in corporazione dotata di statuti e privilegi. Nel basso Medioevo, questa sorta di crescita dell’alfabetismo si trattava per lo più di scritture private e destinate all’uso personale di singoli o di gruppi, come lettere, conti, graffiti, esercizi scolastici, libri di ricordanze e di famiglia, appunti personali. Quest’uso tutto privato della scrittura e dello scritto apparve direttamente proporzionale alla diffusione della carta: materia scrittoria molto meno costosa della pergamena e assai disponibile, soprattutto da quando ne venne impiantata una larga produzione.
Per quanto riguarda maniere e tecniche dello scrivere in Italia, la scrittura epigrafica passa dalle forme rudi, disomogenee e disordinate, tipiche dell’alto Medioevo, alla regolarità di impaginazione e di esecuzione propria dell’XI-XII secolo. Tra il XII e il XIII secolo, nacque e si diffuse un nuovo modello di alfabeto epigrafico: quello gotico. La scrittura gotica minuscola libraria fu il tipo più comune delle lettere “gotiche”; essa presentava, oltre all’angolosità caratteristica, le aste molto pesanti che cambiavano bruscamente direzione ed i trattini delle lettere d’inizio o d’unione, molto sottili che creavano un forte contrasto con le aste. Tra il XIV e il XV secolo, alla gotica, ancora in uso, si contrappose la carolina, intesa come littera antiqua, ovvero una versione rotonda: la scrittura-base dell’età moderna.
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